Cultura e Spettacoli

"Sortino, Colò e fiction Così cambia Tv2000 nella massima libertà"

Il direttore Paolo Ruffini fa il bilancio del suo primo anno nella tv della Cei: "Quando ero al vertice di La7 contava di più il commerciale"

Paolo Ruffini
Paolo Ruffini

Dalla direzione di Raitre a quella di La7, fino al timone di Tv2000: per Paolo Ruffini sembra un precipizio, un'inesorabile discesa professionale. Invece no. Soprattutto se, poco alla volta, la tv dei vescovi sta diventando un'alternativa. Ai troppi talk show noiosi, all'infotainment appiccicoso, allo storyteller modaiolo. Una rete di culto, nel senso di «cult». Ruffini, già notista politico al Messaggero , direttore del giornale radio Rai, inventore di Floris e Ballarò , figlio del notabile dc Attilio e nipote del cardinale Ernesto, arcivescovo di Palermo, e di Enrico La Loggia, ha tutte le carte per dirigerla e trasformarla.

Poco più di un anno al vertice di Tv2000, l'emittente della Cei. Può tracciare un primo bilancio.

«È stato uno degli anni più interessanti della mia carriera professionale. Ho trovato grande entusiasmo e ho goduto di grande libertà. Anche dal punto di vista della rete, per ciò che siamo riusciti a fare, il bilancio è positivo. Certo, c'è sempre uno scarto tra le ambizioni e le realizzazioni ma, insieme con Lucio Brunelli che dirige il telegiornale, siamo riusciti a mettere le basi di un progetto riconoscibile nel mondo della comunicazione».

Quali i riscontri sugli ascolti? È possibile ringiovanire il pubblico?

«Siamo cresciuti più o meno del 20 per cento sull'anno precedente. Abbiamo chiuso il mese di maggio allo 0,80 e aprile allo 0,84, con una crescita consolidata in tutte le fasce orarie. Sicuramente Tv2000 ha un target adulto e anche anziano, ma la media delle 80mila persone che seguono la nostra pagina Facebook sta nella fascia 25-50 anni. Sì, è possibile ringiovanire il pubblico: Il mondo insieme di Licia Colò, Revolution di Arianna Ciampoli e Beati voi di Alessandro Sortino hanno un target meno anziano. Comunque, parlare agli anziani non è giocare in serie B, sono anche persone con buona capacità di spesa. Infine, la tv è un mezzo che comprende giovani e vecchi e non ha analfabeti specifici, come invece il web che sconta ampie fette di analfabetismo tecnologico».

Come si passa dalla Raitre di Guzzanti, Volo e Fazio, e da La7 con Santoro, a una rete con ampi spazi devozionali?

«Naturalmente, considerando che ci sono mandati editoriali diversi. Ogni tv come ogni giornale ha una sua propria identità. È un'analisi semplificata quella che cataloga Raitre e La7 su schemi politici e culturali monocordi. A Raitre ho tentato di fare un canale con una sua diversità culturale, ma non ideologico, che sui temi legati alla religione ha prodotto la Storia dei papi del '900 e altri programmi con al centro la solidarietà. La7 aveva un approccio più commerciale sia con Telecom che con Cairo... Le nostre sfaccettature personali non sempre sono sinonimo d'incoerenza. Sono molto contento di quest'anno perché il compito affidatomi è pienamente condiviso con la sensibilità e il magistero di papa Francesco».

Cosa significa dirigere la tv della Cei? Con i vescovi lei ha avuto anche una consuetudine di famiglia, essendo nipote di un cardinale...

«Che però è morto quando ero bambino... Il mio è stato un cristianesimo vissuto in parrocchia e a scuola, non nella frequentazione delle gerarchie. Dirigere la tv dei vescovi significa dirigere una tv d'ispirazione cattolica che è la tv della Chiesa italiana. Vuol dire mettere quello che so al servizio di un mezzo dove l'editore, a differenza di altri protesi al profitto, vive l'urgenza del messaggio e la preoccupazione per la sua qualità».

Concretamente?

«Godiamo di totale libertà nel concepire programmi e palinsesto. I confronti tra noi e l'editore riguardano la comprensione di dove sta andando il mondo e i grandi cambiamenti che ci interpellano, non certo chi intervistare o cosa censurare».

Com'era la Tv2000 diretta da Boffo e perché se n'è andato?

«Non so perché se ne sia andato e non mi riguarda. Gli avvicendamenti nelle direzioni sono la normalità, le durate illimitate anomalie».

Che differenza c'è tra la tv che ha trovato e quella che cercate di fare?

«Non c'è una cesura ma un'evoluzione. Noi ci poniamo l'obiettivo della contemporaneità non solo per chi crede o cerca un luogo di preghiera, ma per tutti. Proviamo a fare della nostra ispirazione cristiana un modo di essere curiosi della realtà, senza accontentarci o guardarci allo specchio».

Non è facile dare un'identità alla rete, tra i picchi di ascolto con il rosario e i nuovi innesti. Su cosa c'è da lavorare di più?

«Sul linguaggio, nel tentativo di essere sintonizzati con il momento che viviamo. Sarebbe un errore snobbare la forma e le regole del far televisione nel nome di un contenuto bello e forte. Nello stesso tempo penso che l'ascolto anziano vada salvaguardato. Nessuno si deve sentire escluso. Sono convinto che i cambiamenti più solidi siano quelli graduali. Ma ora dobbiamo cominciare a comunicare le novità che ci sono».

Avete fatto El Dante con Franco Nembrini, ora le Beatitudini di Sortino: nuovi progetti?

«Con Brunelli abbiamo cambiato i programmi del mattino e del pomeriggio per costituire un'alternativa credibile. Le innovazioni non sono mancate, da La classe di Marco Presta a Soul di Monica Mondo, declinazione dell'intervista one to one con una profondità che manca a tanti intervistatori blasonati».

E per il futuro?

«In autunno Nembrini partirà con 33 puntate sulla Divina commedia , una piattaforma di racconto che collegheremo al convegno della Chiesa sul Nuovo umanesimo e al Giubileo. Dopo Beati voi Sortino si dedicherà a un'idea sul perdono. Cristiana Caricato, la nostra vaticanista, proporrà una serie sulla vocazione. Infine, considerando i pochi mezzi a disposizione, ci sarà molta attenzione nella fiction d'acquisto...».

Come giudica il percorso di Giovanni Floris? Ha fatto bene a lasciare la Rai?

«Poche cose sono per sempre. Floris ha trovato che gli stimoli della Rai erano minori di quelli che gli dava il cambiamento. La paura non è mai una buona ragione.

Credo abbia fatto male la Rai e bene Giovanni».

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