«I giovani direttori dorchestra italiani non hanno grande spazio in patria. Eppure i nostri giovani sono direttori a Lipsia, Zurigo, San Francisco. Ma in Italia cè deferenza verso alcuni baroni. Il mondo della musica è molto fragile. Non lo dico per me perché in Italia lavoro moltissimo». Così parla Alberto Veronesi, che dirige in tutto il mondo (Mosca, San Pietroburgo, New York, Miami, Milano, Roma ecc) e vive a Palermo, dove dirige lOrchestra della città. È un 42enne milanese dal fascino gentile e dallo sguardo profondo, sposato con una figlia di un anno. Un uomo che sembra sfuggire il protagonismo per rifugiarsi nella grandezza misteriosa della musica.
La generazione di Dudamel, Thielemann, Salonen e Veronesi reggerà leredità di Muti, Mehta, Prêtre ecc.?
«Il livello medio dei nuovi direttori dorchestra è, a mio avviso, superiore al livello tecnico delle generazioni precedenti. Proprio grazie ai maestri che hanno avuto. Dudamel, Daniele Gatti, Salonen, Thielemann sono ormai punti di riferimento».
Lei come è arrivato alla grande musica?
«In famiglia cera lobbligo di imparare fin da piccoli il solfeggio e di suonare uno strumento. Da questo obbligo sono nate due grandi passioni: la mia e quella di uno dei miei fratelli».
Suo padre, Umberto Veronesi, quanto ha influenzato le sue scelte?
«Ha favorito, felicissimo, la mia vocazione per la musica. È stato molto critico sulla mia scapestratura liceale, con il mio impegno politico per Autonomia operaia».
Il suo strumento preferito?
«Il pianoforte. Ma ho pochissimo tempo e la tentazione di suonare di notte è frenata dal sonno di Susi, la mia bambina».
Parliamo del suo repertorio?
«Sono direttore del Festival pucciniano e vengo considerato un esperto di Puccini. Sono passato a Verdi e ho diretto Il ballo in maschera, Traviata. E poi a Leoncavallo, Giordano, Mascagni. Per me il Puccini della musica sinfonica è Gustav Mahler, del quale ho diretto tutte le sinfonie. Lo prediligo per le sue difficoltà strumentali e tecniche, per la sfida che lancia al direttore. Infine Stravinskij, Bruckner, Brahms. Amo come tutti Beethoven, Mozart anche se non sono un classicista, un barocchista».
A proposito di Beethoven, «Per Elisa è ora attribuita a Ludwig Nohn. Che ne pensa?
«Quei fogli dalbum potrebbero essere di Beethoven, brani che scriveva di passaggio. Bisogna vedere se lattribuzione ha vero fondamento».
Se potesse salvare solo tre spartiti, quali salverebbe?
«Manon Lescaut di Puccini, la Quinta sinfonia di Mahler e LArte della Fuga di Bach, la purezza assoluta della musica».
Von Karajan paragonava la sua orchestra a una grande anima collettiva. E lei come la definisce?
«Un insieme di pari dove il direttore con sensibilità e buon senso imprime allesecuzione una certa linea creando adesione su di essa. Lidea di Karajan è unidea spirituale che implica adesione ideologica. Certo, il Maestro deve chiedere con determinazione, ma le grandi orchestre devono essere gestite con democrazia».
Ritiene giustificati i tagli alle produzioni artistiche e lidea di ridurre il numero dei teatri?
«Siamo il Paese creatore dellopera lirica, un primato grazie al quale dal Seicento abbiamo esportato la nostra lingua, le orchestre, i compositori, i librettisti, la mano dopera. E questo nonostante lItalia investa la metà di quello che investono la Francia e la Spagna, un quinto della Germania.
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