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Stephen King, re del brivido anche sul grande schermo

Adattato, a volte tradito e perfino migliorato Un saggio sul rapporto tra lo scrittore e il cinema

Jack Nicholson in "Shining"
Jack Nicholson in "Shining"

Stephen King è in assoluto lo scrittore di fiction che ha avuto più adattamenti di sue opere al cinema e in televisione. E i suoi fan hanno sempre discusso su quanto i suoi romanzi, le sue novelle e i suoi racconti possano essere davvero adattati su pellicola e sul grande schermo, quanto gli altri media debbano essere rispettosi o quanto debbano tradire e reinventare il modello originale. Si può affermare che lo scrittore del Maine ha davvero vissuto tutti i percorsi possibili in questo senso con opere che ne hanno esaltato l'immaginario o lo hanno offuscato. Una cosa è certa: la produzione di queste opere ha sicuramente amplificato la diffusione della passione per King. Il volume Stephen King. Dal libro allo schermo (minimum fax, pagg. 320, euro 18) curato da Giacomo Calzoni e che propone contributi di Pier Maria Bocchi, Daniele Dottorini, Marco Lazzarotto Muratori, Andrea Di Giorgio, Matteo Berardini e dello stesso Calzoni si pone l'obbiettivo di fare un po' il punto della situazione. Parte con una frase ad effetto: «Bello o brutto, riuscito o non riuscito, il cinema tratto da King non è mai stato veramente kinghiano». E ha sicuramente ragione Bocchi a sostenere che la parola kinghiana sia originariamente intraducibile in immagini perché è già essa stessa un'immagine autosufficiente, «estremamente complice con il lettore, direi quasi morbosa, un'immagine tersa e nitida nel suo significato, anche quando simbolico. La parola kinghiana crede nella propria qualità autentica e nel proprio senso evocativo perché la pagina di King è un mondo a sé, è un archetipo, non permette intrusioni, non lascia fenditure per possibili invasioni».

D'altra parte ogni libro di Stephen King è già un film: «non un copione, non una sceneggiatura, proprio un film, fatto di scene, di montaggio, di fotografia». Fatto di immagini: «C'è una descrizione diretta e una forma di descrizione un po' più poetica. Entrambe vanno bene, ma a me piace quella figurativa». E si può tranquillamente sostenere che Stephen King sia un regista, un buon regista (anche se quando è passato dietro la macchina per realizzare Brivido e il nuovo adattamento di Shining è andato in crisi con il mezzo cinematografico). È King che dice di se stesso fra le pagine del saggio autobiografico sulla scrittura On Writing: «La chiave di una buona descrizione comincia con una vista chiara e finisce con una chiara scrittura, quel genere di scrittura che adopera immagini fresche e vocabolario semplice». Partendo da questi importanti assunti di Pier Maria Bocchi i film e le fiction televisive generate dalle opere del narratore americano sono in qualche modo reinvenzioni, traduzioni, arrangiamenti parziali o tradimenti dell'originale. Opere «imperfette e infedeli» anche quando si tratta di grandi film come Shining, Misery non deve morire, Le ali della libertà. E in questa raccolta di saggi di minimum fax troviamo categorie molto azzeccate di inquadramento come: «Quando l'autore scippa (fortunatamente) l'autore», «All'ombra dei giganti», «Bagliori dal crepuscolo», «Archeologia del piccolo schermo», «Stephen King tra complex tv e prestige drama, la metà oscura dell'era post network».

I lettori possono con comodo scegliere quale film rivedere e commentare grazie agli aneddoti e alle analisi prodotte dai saggisti che si sono cimentati nel volume. Si può comprendere perché Stephen King sia stato complice di Mick Garris nelle sue produzioni, perché si sia sentito incompreso e tradito da Stanley Kubrick, quanto sia rimasto ammirato dalle messe in scena di Frank Darabont e Rob Reiner. Il successo al botteghino di Carrie di Brian De Palma ha cambiato lo status di bestsellerista dello scrittore americano. Le ali della libertà e Il miglio verde lo hanno messo in lizza per gli Oscar. La zona morta, Christine la macchina infernale e La metà oscura gli hanno permesso di entrare in contatto con le visioni di David Cronenberg, John Carpenter, George A. Romero; un brutto film come Brivido gli ha concesso adrenaliniche musiche originali composte dagli Ac/Dc. Il cinema ha fatto molti regali a Stephen King. Gli ha riservato sorprese e traumi e lo ha costretto a rilavorare sul suo immaginario e sui suoi personaggi. E non sempre sono state le grandi produzioni a sorprendere di più. Basterebbe pensare all'originalità di adattamenti a basso costo come The Night Flier affidato a Mark Pavia o Nell'erba alta girato da Vincenzo Natali o all'incredibile The Mist diretto da Frank Darabont. Alla proiezione di quest'ultimo pare che lo stesso Stephen King si sia commosso, abbracciando Darabont che ha scelto di dare un finale senza speranza alla storia che non c'era nell'originale. D'altra parte Darabont deve tutto a King: ebbe la possibilità di girare nel 1983 il cortometraggio The woman in the room pagando solo un dollaro di diritti d'autore.

Stephen King ha permesso a decine di cineasti di debuttare grazie a questa sua scommessa su di loro. Ed è un peccato che non si sia realizzata la prevista collaborazione annunciata fra Darabont e King per la serie The Walking Dead. Sono convinto che ancora una volta avrebbero stupito per il loro shine.

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