da Taranto
Un padre nel punire è sempre padre. Così Diego Abatantuono fa la cosa giusta in Belli di papà , commedia agrodolce di Guido Chiesa ( Il partigiano Johnny , Lavorare con lentezza ), che in questi giorni si gira in un ex circo sul lungomare, divenuto la Camera di Commercio di Taranto: azzera ogni comfort ai suoi tre viziatissimi figli e, sradicandoli dalle mollezze del sofà e dalle connessioni Internet, li porta là dove tutto ha avuto inizio: nella scalcinata casa di periferia, cioè, dov'è nato lui, Vincenzo, businessman rimasto vedovo e imprenditore che si è fatto da sé, costruendo dal nulla la EdilTechno '83. Florida ditta che lui finge sia al collasso. Da ex-bamboccioni fortunati, Chiara (Matilde Gioli), Matteo (Andrea Pisani) e Andrea (Francesco Di Raimondo) dovranno realizzare l'impensabile: trovarsi un lavoro. Un tema attuale, per un film prodotto da Colorado in collaborazione con Medusa (budget di 3,5 milioni col supporto logistico dell'Apulia Film Commission) che sarà in sala il 30 ottobre. Si tratta della versione italica del messicano Nosotros los nobles . Ciliegina sulla torta, Francesco Facchinetti, figlio di papà Pooh, esordisce sullo schermo nel ruolo del detestabile Loris.
Bambocci, smidollati: di chi la colpa, quando i figli non si rimboccano le maniche come fecero i padri?
«Tutti vogliono tenere nella bambagia i propri figli. Certi fallimenti sono imputabili ai genitori, che hanno avallato ogni richiesta della prole. Il famoso pezzo di carta, per esempio: c'è stato un periodo in cui tutti mettevano a studiare i figli, anche per non far affrontare loro la fatica del lavoro. E adesso che questi bamboccioni, di parcheggio in parcheggio, sono arrivati a quarant'anni, non sanno che cazzo fare. Possibile che il governo non capisca che, se toccano le pensioni, toccano anche la sopravvivenza dei giovani, mantenuti dai vecchi?».
Sta dicendo che la cultura e lo studio sono utili fino a un certo punto?
«La cultura è utile. Ma poi c'è una cultura specifica, che riguarda un mestiere. Prendiamo Bologna, per esempio, città che amo e dove ho vissuto. Prima c'era tanta cultura, cioè tanti ragazzi parcheggiati da genitori che pagano volentieri l'affitto d'un appartamento: facile fare lo studente con le studentesse che dormono da te. Di giorno studio, di notte vado in sciambola… Però, passando per la zona universitaria, a Bologna, adesso vedo più bottiglie che libri».
Anche il suo Vincenzo è un padre che vizia i figli, ma poi cambia rotta e simula addirittura la bancarotta per raddrizzare la situazione...
«All'inizio Vincenzo pensa che sia colpa sua, se i figli sono debosciati. Ma poi si assume le sue responsabilità e porta a casa il risultato. Il film si basa sul classico meccanismo di contrasto, che funziona sempre: il ricco e il povero, miseria e nobiltà, padre tosto e figli molli. Basti vedere il successo di Benvenuti al Sud o di Quasi amici , per capire che le opposizioni hanno successo».
Ai “belli di papà” del film vengono tolti telefonini e tablet: l'eccesso di tecnologia infiacchisce i giovani?
«Il problema base è non poter dire: “basta col telefonino!”. Se lo dici adesso, sembri un coglione… Dopo la tivù, come parcheggio, sono arrivati il computer e lo smartphone. D'altra parte, anche i miei genitori mi parcheggiavano al cinema».
Sembra che le abbiano dato un vantaggio, però…
«Macchè! A Milano mi portavano al cinema Alpi, al Magenta, al Gloria, al Rosetum, o al cinema Adriano dietro la mia scuola elementare, la Ricciarelli, dove forse adesso c'è un Bingo. Ero piccolino e mi toccava andare al cinema tutte le sere, alle dieci: il film finiva a mezzanotte, un freddo... Non facevo mai colazione, mia mamma lavorava al Derby, di notte».
Così si è fatta una solida cultura cinematografica
«I miei mi hanno insegnato i valori importanti. Poi ho avuto un po' di culo. La mia generazione è stata falcidiata dall'eroina, ci voleva fegato per riuscire. La mia è stata la stagione di Sordi, Tognazzi, Gassmnann, Mastroianni, Villaggio. Oggi mancano quelli che fanno la differenza. Se reciti quello che è scritto nel copione, a meno che non l'abbiano scritto Scola, Avati o Fellini, non vai da nessuna parte. Un bravo attore è quello che mette il valore aggiunto».
È difficile far ridere la generazione cresciuta in Rete, che legge poco o niente?
«Ora è difficile dire battute che tutti possano capire. Se citi uno del Novecento, la battuta non viene percepita: una battuta su Luciano Tajoli fatta da Alberto Sordi, veniva capita… oggi sì è creata una frattura. È come se la mia generazione fosse più colta. C'è uno iato con la generazione 2.0».
Nella vita vera, che tipo di padre è per i
suoi tre figli?«Cerco di trasferire loro la mia esperienza. Insegno i valori basilari. L'importante è far bene le cose. Con i miei figli ho avuto una fortuna sfacciata: nessuno fa l'attore, quindi ho seminato bene».
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