Cultura e Spettacoli

Su quell'"Olimpo" erotico c'è solo l'ombra di Fellini

Già la premessa al racconto sulle passioni degli dei mostra uno stile non riconducibile a quello di Federico

Su quell'"Olimpo" erotico c'è solo l'ombra di Fellini

Da qualche mese circola un libro che viene attribuito a Federico Fellini, con singolare leggerezza. I curatori del libro, Gérald Morin e Rosita Copioli, si sforzano nei loro interventi di avvalorare l'operazione senza avanzare il minimo dubbio sulla sua autenticità. Capisco l'euforia della riscoperta, il brivido di mettere mano a un supposto inedito felliniano; ma quando ci sono testimoni in vita, una maggiore prudenza filologica non guasterebbe.

Non mi stupisce lo slancio della nuova casa editrice SEM alla prospettiva di esordire con un battesimo così prestigioso; non mi sorprende la navigata disinvoltura di Sergio Zavoli nell'elargire introduzioni; non mi colpisce l'intervento da garante, sia pure generico, di Gérald Morin il quale, essendo svizzero di lingua francese forse non riesce a distinguere certe sfumature linguistiche. Rimango invece meravigliato da Rosita Copioli, poetessa riminese, che di linguaggio dovrebbe capirne; ma avendo trovato insperato accesso al sacro recinto del suo autore mito, si abbandona a una postfazione estatica sul testo. Suppongo che avrà avuto a lungo quelle pagine tra le mani, le avrà venerate, compulsate; senza mai accorgersi che già la premessa al racconto, a firma autografa di Fellini, non contiene un solo termine del lessico felliniano, neppure la più lontana assonanza di stile, o un'ombra dell'inventiva, dell'agilità, dell'inimitabile arabesco verbale che gli appartenevano. Chiunque sia in possesso di un minimo di orecchio lo avvertirebbe, anche senza conoscere i fatti. Sono tre pagine professorali, con argomenti e riferimenti eruditi, che Federico ha sottoscritto come faceva con me o con altri collaboratori prima di me semplicemente per avviare il progetto all'attenzione dell'interlocutore di turno. Un ballon d'essai che a spanne potrebbe essere riconducibile a Luca Canali, docente di latino e profondo conoscitore dell'antichità classica, già stretto collaboratore del Maestro ai tempi del Satyricon.

Inoltrandosi in seguito nella lettura, appare altrettanto evidente l'estraneità di Fellini alla narrazione, dalla quale si può tutt'al più risalire a una sua estemporanea chiacchierata che un solerte collaboratore ha trasposto in pagina con vistose licenze personali. I miti greci, questo il titolo originario e non L'Olimpo, era uno dei tanti progetti esca che il regista utilizzava, nei vuoti fisiologici tra un film e l'altro, per sondare l'umore dei produttori. Il progetto nasce da lontano, al tempo della frequenza con Ernst Bernhard, allievo di C.G. Jung; ma prende forma di trattamento soltanto nell'81 ed entra a far parte di quella girandola di soggetti che giacevano in un limbo amniotico, in indefinita attesa di circostanze favorevoli al parto. Il primo di questi figli mai nati era Il viaggio di G. Mastorna, che ha continuato a riaffiorare ciclicamente con brevi pause. Poi, senza alcun ordine gerarchico, venivano L'Orlando furioso, L'Inferno di Dante, Venezia e altre città leggendarie, come Napoli, New York; o personaggi amati dei fumetti, Mandrake, oppure Flash Gordon che alla fine venne realizzato senza Fellini ma con le scene e i costumi di Danilo Donati, suo art director. Dall'81 in poi avevo scritto per lui Poliziotto, tratto dai racconti orali di Nicola Longo, un ispettore di polizia considerato per il suo stile una sorta di Serpico di Piazza di Spagna; L'avvocato racconta, basato su alcuni casi giudiziari rievocati da Luigi Benzi, l'amico Titta, noto penalista di Rimini; in precedenza ero stato persino incaricato di trascorrere qualche settimana nella redazione del quotidiano romano Il Tempo, al fine di comporre un brogliaccio sul crogiuolo incandescente della Cronaca nera, a cui Federico stava pensando seriamente. Finché non intervenne Alfredo Bini con un suggerimento di lancio che lo smontò all'istante: Federico Fellini da La dolce vita a La mala vita. Contemporaneamente avevamo messo mano, complice Angelo Guglielmi, allora direttore della terza rete RAI, ad alcuni abbozzi di film in diretta sul modello di Intervista (che firmai con Federico nell'87): L'Inferno di Dante, L'attore, Venezia, L'opera lirica. Ero in quegli anni lo scrittore ombra di Fellini, il suo ghost writer; conosco la sua scrittura al pari della mia. Sapevo che I miti greci avrebbe potuto evolvere in un copione a pieno titolo solo nel caso di un concreto interesse produttivo, cioè di un contratto. Ma, allo stato dei fatti, di Federico scrittore c'era dentro ben poco e forse nulla.

Posso supporre con buone probabilità che nelle pagine aleggiasse l'estro di Zapponi, grande appassionato di sesso; ma anche di Luca Canali e probabilmente di Brunello Rondi, entrambi non meno inclini all'argomento. E non escluderei lo zampino di Ignazio Majore, lo psicanalista autore di Il circuito fallico cui Federico faceva riferimento per le teorie generali sulla psiche e i casi clinici. Infine tra le persone che ruotavano occasionalmente intorno a lui non va dimenticato Mino Guerrini, vecchia amicizia giornalistica che aveva in quel frangente un pressante bisogno di denaro. Il risultato finale è verosimilmente il frutto di una stesura a più mani e non, come viene annunciato nel risvolto di copertina, il «sorprendente romanzo degli dei in cui Fellini ripercorre gli archetipi della nostra immaginazione». Gli indizi a sfavore sono tanti e tutti enunciabili. Tra le più vistose incongruenze presenti nel testo troviamo persino un'annotazione tecnica in cui si parla di Fellini in terza persona: «Verranno adottati semplici trucchi visivi, alla Meliès, o simili a quelli realizzati da Fellini in Boccaccio '70...». Ma ancor prima i curatori avrebbero dovuto lasciarsi insospettire dallo stile: il lessico, la sintassi, la costruzione della frase, e infine certe affermazioni fuori registro che Fellini non avrebbe mai pronunciato, come sa bene chiunque abbia avuto con lui anche soltanto una conoscenza superficiale. La stessa Copioli qua e là tradisce commoventi candori: «A leggere L'Olimpo, ci si chiede come avrebbe risolto Fellini l'esplosione di sesso esplicito che mai compare nei suoi film...».

Giusto.

Forse le avrebbe giovato approfondire le indispensabili risposte ai suoi trasalimenti, invece di volteggiare acrobaticamente tra quesiti sospesi a mezz'aria.

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