da Venezia
Un film francese rifiutato a Cannes che rischia di vincere a Venezia, è già una notizia. Se si aggiunge che nella selezione transalpina in corsa lo scorso maggio per la Palma d'oro, c'era molta fuffa e poca sostanza, il suo possibile successo darebbe la stura a commenti divertiti sulla dinamica di quelle scelte nazionali. Signorilmente, Xavier Giannoli, il regista del lungometraggio in questione, preferisce glissare: «È un argomento che non attraversa né il mio cuore né la mia mente» dice. D'altra parte, è di origine corsa…
Al momento, Marguerite , questo il titolo, è quanto di meglio si sia visto al Festival. È una storia d'amore e morte e insieme una commedia, e in alcuni momenti una farsa, racconta un'epoca, la Parigi degli anni folli del primo dopoguerra, e una passione maniacale, l'amore per il canto, ci spiega come senza illusioni non si possa vivere e di quanto però la fantasia possa uccidere, come da Cervantes a Flaubert il grande romanzo ci ha sempre raccontato. Lo fa con un cast perfetto, dove Catherine Frot disegna da par suo la figura di una ricca melomane terribilmente stonata; André Marcon quella dell'aristocratico marito che l'ha sposata soltanto per i suoi soldi e troppo tardi si rende conto di quanto per lui lei fosse importante e viceversa; Michel Fau, nel ruolo di un ripugnante tenore a fine carriera, coperto di debiti e di vizi.
Ma calibrati sono anche gli altri caratteristi che fanno da corona al desiderio di Marguerite di esibirsi sul palcoscenico come se fosse un vero soprano e non la sua tremenda caricatura: Beaumont, il giovane critico musicale (Sylvain Dieuaide sullo schermo) che la vorrebbe sfruttare; il fedele servitore Madelbos (Denis Mpunga) che «uccidendola» in fondo la salverà. Del resto l'unica volta che Marguerite aveva dubitato di se stessa era stato lui a darle di nuovo fiducia: «La perfezione non è fare qualcosa di grande e bello. È fare qualcosa con grandezza e bellezza».
Ispirato a una storia vera, quella dell'americana Florence Foster Jenkins, Marguerite se ne discosta ampiamente. «Non volevo fare un biopic» dice Giannoli, «ma più semplicemente il ritratto molto libero di una persona realmente esistita. L'ho ambientato nella Francia degli anni Venti perché quel decennio è stato importante sia per la libertà artistica sia per quella personale. Marguerite è una donna che rifiuta la vecchia società tradizionale che le impediva di realizzare i suoi sogni, e insieme si distacca dal nuovo mondo che alla fine la ingoierà. Nel suo stato più puro esprime la veemenza di un desiderio. E ha una generosità d'animo che alla fine fa breccia sulle persone che la circondano per sfruttarla. Permette loro di ritrovarsi, le salva da una vita di menzogne e lo fa sacrificando la propria».
Girato fra la Francia e l'Est Europa, Marguerite è il ritratto di una donna che nella sua illusione di credersi una cantante è più vera della società ipocrita che si approfitta del suo mecenatismo e la illude di avere una voce angelica… «È terribilmente stonata, tragicamente, sublimamente. Canta l'opera come un bambino potrebbe lacerare una rosa. La cosa è comica perché crudele, una lacerazione nella sua voce che è anche una lacerazione nei nostri cuori».
È anche, anzi è soprattutto, una donna innamorata che vuole vivere le proprie passioni. Solo che sul palcoscenico della vita non c'è spazio per la finzione dell'arte e nessuno, dopo essere morto sulla scena, si ripresenta a sipario alzato per ricevere l'applauso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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