Ci ha provato, a prendere un'altra via. Ma, come ha spiegato ieri in un angolo milanese lontano dai rumori e dalle corse, un locale in Città Studi che già dal nome, «Il giardino blu», sembra evocare la sua indole raccolta, «non mi stavo evolvendo, stavo solo perdendo identità». Così Niccolò Fabi è tornato sui suoi passi e ha fatto ciò che gli riesce meglio, «sposare musica e parole con accuratezza ossessiva». E ha lasciato da parte quell'evoluzione che cercava ma che stava portandolo troppo lontano da sé: «Dopo un album acustico interamente suonato da me, ideato e scritto in solitudine in campagna (Una somma di piccole cose, 2016, ndr), sentivo di aver chiuso un capitolo importante, di aver detto tutto il possibile. E se quello era un disco caldo e analogico, quello successivo avrebbe dovuto essere più freddo e oggettivo. L'elettronica doveva avere un ruolo importante già in fase creativa, non solo come arrangiamento successivo alla creazione dei brani».
La saggezza è stata capire, ripartire e proporre una dualità tra vecchio e nuovo e, per l'appunto, fra Tradizione e tradimento, il titolo del disco che il cantautore romano fa uscire oggi nei negozi, in digital download e su tutte le piattaforme streaming. Trainato da un singolo di cristallina bellezza e forza immaginifica, Io sono l'altro, galleria di affreschi sul «desiderio di capire gli altri per poi capire sé stessi», l'album sarà anche la colonna sonora portante di un nuovo tour al via da dicembre nei teatri italiani, con una data zero il 27 novembre a La Città del Teatro di Cascina (Pistoia) e un esordio l'1 dicembre a Ravenna (già sold out, così come la data milanese al Teatro degli Arcimboldi il 2). C'è comunque un nuovo Niccolò Fabi, che emerge dal disco, scritto tra Roma e Ibiza, così come dai live: «I concerti saranno più vicini a una performance artistica che a un'esibizione tradizionale in cui il pubblico è partecipe. Chiedo al pubblico un salto in più, senza rituali live del tipo su le mani, ma con un ascolto attento. Alternerò ovviamente sorpresa e rassicurazione, perché se dài solo la prima crei stanchezza, se dài solo la seconda crei noia».
L'album, tra colori elettronici di tipo ambient e la scrittura intimistica cui Fabi ci ha abituati, è la cronaca di un passaggio: «Dall'Io al Noi - spiega il cantautore -. Qualcuno diceva che più vai in profondità e più non trovi te stesso, bensì tutti gli altri. Andare lì in fondo è tosto, ma è l'unica cosa che so fare come artista. Insomma, per dirla tutta io non mi sceglierei mai per fare una camminata sul lungomare con un cocktail in mano, però sono la persona giusta per andare laggiù. E quando la gente mi sceglie per quello, ne sono onorato. Io non canto e non suono in maniera speciale: ho venti amici che lo sanno fare meglio. Ma sono speciale se sono in tensione e scrivo, se prima di salire sul palco ho una mia inquietudine». Brani come Scotta, Migrazioni e I giorni dello smarrimento («provo a raccontare i miei dubbi creativi degli ultimi tempi») lo provano.
E a proposito di smarrimento, Fabi lo vive anche guardandosi attorno: «Come artista resto scosso dalla direzione che la società sta prendendo. Non c'è ascolto, ci sono disillusione, cinismo e aggressività. In una parola, c'è paura». Ma non chiedete a Niccolò Fabi di atteggiarsi a guru: «Resto dell'idea che dire le cose in un orecchio abbia un impatto maggiore che urlarle in un megafono. Io faccio così con le mie canzoni e nei concerti: resto un seduttore, non un conquistatore. Per questo ci ho messo tanto a guadagnarmi un pubblico: sussurrando, è vero, non arrivi a grande distanza, puoi solo fare avvicinare la gente con calma. Ma la comunicazione sloganistica non fa per me». Atteggiamento naturale per un artista e un uomo ormai maturo: «L'età conta, eccome. Le nostre cellule invecchiano e influenzano i pensieri.
Da giovane non hai coscienza dei tuoi organi, tutto va alla perfezione. L'età porta saggezza e consapevolezza del proprio corpo. Un artista che non racconta la sua età e le stagioni della sua vita è uno spreco infinito».
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