Cultura e Spettacoli

"The Tempest". Anche la Scala va in scena (con i palchi)

Strano caso, quello di The Tempest, opera di Thomas Adès dall'omonimo dramma di William Shakespeare, nel repertorio dei teatri di serie A, con il Met di New York in testa, e mai vista in Italia

"The Tempest". Anche la Scala va in scena (con i palchi)

Strano caso, quello di The Tempest, opera di Thomas Adès dall'omonimo dramma di William Shakespeare, nel repertorio dei teatri di serie A, con il Met di New York in testa, e mai vista in Italia. Arriva soltanto ora, dal 5 novembre al Teatro alla Scala, a 18 anni dal debutto al Covent Garden di Londra.

Eppure la Scala è la protagonista assoluta di quest'allestimento di Robert Lepage, mago della scenotecnica che ha ambientato le vicende shakespeariane tra i palchi scaligeri pensati come fondale del primo e del terzo atto. Perché la Scala? «All'inizio dell'Ottocento era la più grande scatola magica del tempo, perfetta perché Prospero (il protagonista, ndr) possa intrappolare le persone scatenando una tempesta», spiega Lepage. Che nella sua bottega-laboratorio in Québec, un'enorme ex caserma dei pompieri, crea spettacoli funambolici, visionari. Lì sono state pensate tante iperboli del Cirque du Soleil, produzioni che poi viaggiano nel mondo combinando la conoscenza del linguaggio del corpo con la cultura audiovisiva e cinematografica d'ultima generazione, fra alto artigianato e tecnologia 4.0.

In The Tempest scene e regia nascono dalla musica di Adès e dalle parole della librettista Meredith Oakes, sono un progetto sartoriale confezionato su misura del dramma in musica; al levare del sipario, il crescendo dell'orchestra fa tutt'uno con le acrobazie di Ariel, lo spirito che sbuca dal nulla, s'aggrappa a un lampadario che prende a vorticare alzandosi mentre una tela blu viene agitata mimando il mare in tempesta. Ne emergono i naufraghi, i cortigiani vil razza, che tramarono contro Prospero (Leigh Melrose) un tempo duca di Milano, di qui la sua vendetta. Seguiranno altre scene corali, piene, di grande effetto, in alternanza al vuoto di una scenografia minimale. Si vedono ponti mobili che Ariel percorre flessuoso come un felino, quindi foreste incantate, incombono impalcature-prigioni, poi tutto sparisce, il palcoscenico si svuota. Tutto è funzionale, Lepage non ha bisogno di dimostrare chi sia.

Un Maestro.

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