Annie Dillard in Italia, purtroppo non ha ancora ottenuto il successo che merita. Vincitrice nel 1975 del Premio Pulitzer per la Saggistica, malgrado la sterminata bibliografia, da noi ha fatto solo una breve apparizione, passata inosservata, con Il lungo fiume della vita (edito da Frassinelli nel 1994). Ora arriva nelle librerie, dal prossimo 27 Giugno con la raccolta di saggi Ogni giorno è un dio (Bompiani, traduzione di Andrea Asioli, pagg. 272, euro 18) che in America ha destato clamore diventando un bestseller. Clamore perché i saggi della Dilllard sono talmente semplici da diventare spesso complessi: la scrittrice americana - nata a Pittsburgh, Pennsylvania, il 30 aprile 1945 - ci racconta la vita attraverso chi riesce a uscire dalla Realtà per entrare nella Verità. Quelle riflessioni che, oggi, riteniamo scontate, banali, mentre sono soltanto vere. Riflessioni sulla vita e sulla morte, sul vivere quotidiano delle piccole cose che non notiamo più presi come siamo da impegni, lavoro, famiglia, vacanze, viaggi che servono spesso soltanto a distrarci dalle domande esistenziali più profonde. Il tutto raccontato con uno stile da acrobata della narrrativa e con tematiche che riprendono le teorie care a Thoreau, a Emerson e al Melville di Moby Dick.
Ogni giorno è un dio - titolo che è già esemplificativo di come viviamo da turisti della vita, tutti a dimenticarsi che non abbiamo tre vite come nei videogiochi- si apre con il saggio Eclissi Totale, tratto dalla raccolta del 1982 Teaching a stone to talk (Insegnando a una pietra a parlare). Dillard descrive il viaggio in macchina di cinque ore dalla costa del Pacifico, dove abita, per riunirsi insieme a centinaia di persone ad assistere a una eclissi lunare. Per la Dillard uno dei simboli della secondarietà del genere umano rispetto ai fenomeni naturali. Immersa nel cono d'ombra prodotto dalla luna, scrive: «gira intorno alla terra a 1.800 miglia orarie, portando oscurità come fosse una piaga... questo era l'universo, di cui tanto abbiamo scritto e così poco capito: l'universo come un orologio di sfere selvagge che fluttuano a velocità incomprensibili e stupefacenti». Perché «L'universo non è frutto di un gioco del destino, ma di un lavoro serio e solenne, anche se incomprensibile, il lavoro di una qualche potenza imperscrutabile, segreta e santa». Il suo sguardo si sposta dai movimenti giganteschi degli astri all'osservazione di migliaia di organismi unicellulari che vivono in una goccia d'acqua. L'ispirazione arriva da tutte le parti, gira intorno a lei come la terra gira intorno al sole. Annie Dillard ci trascina in territori visionari fatti di paradossi e dalla sua convinzione di essere testimone di brevi lampi di infinito. Il suo è un approccio particolarmente religioso, anche se l'autrice non fa distinzione fra una confessione e l'altra, né fra l'arte e la scienza. Cita l'artista Giacometti: «Più lavoro, più riesco a vedere le cose in modi diversi. Tutto diventa più grande ogni giorno, più sconosciuto e più bello. Più mi avvicino, più la realtà è immensa, più si allontana».
Nella raccolta ci sono anche otto brevi saggi del 1987, tratti dal memoir An american Childhood, ci fanno comprendfere l'evoluzione della Dillard come scrittrice. Turning on badly, ad esempio, è il racconto della sua adolescenza: «ero un missile intercontinentale, una testata nucleare» scrive della Annie teenager. Alcuni scrittori conservano la loro ispirazione, la centellinano. Dillard non è così: e qui sta la sua grandezza. Lei va avanti, pagina dopo pagina di meravigliosa prosa.
Spesso è stata etichettata come «bizzarra», «folle», «sbadata», ma è proprio questo distaccarsi dalle convenzioni, dai cliché, insieme alla sua capacità di meravigliarsi, a renderla più che una scrittrice, un dono. Non sprecatelo: leggetela e anche per Voi «Ogni giorno sarà un dio».
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