Poteva fare la fine di Jon Voight, quasi completamente oscurato dalla figlia superstar, Angelina Jolie. E invece Don Johnson, la cui figlia Dakota è nel cono di luce con 50 sfumature di grigio , dove lei interpreta la scatenata Anastasia Steele, non si fa mettere in ombra (anche perché tra Angelina e Dakota c'è una bella differenza). Intanto, chi negli Ottanta s'è pasciuto di Miami Vice , serie tv con il suo Sonny Crockett in giacche Versace, mocassini sfoderati e indossati senza calzini, occhiali a specchio e chioma bionda spettinata ad arte, non dimentica quel detective paraculo. Altro che i poliziotti ordinari che oggi passa il piccolo schermo : quello era un idolo sexy universale, invitato alla Casa Bianca dai Reagan, anche perché attraente icona della lotta alla droga. Vabbé, poi Don con la droga ci si è fidanzato in casa, su e giù tra erba, eroina e cocaina, centri di riabilitazione e periodi di sobrietà, che duravano un paio di giorni. Meno male che adesso la star 64enne s'inebria soltanto del fumo che promana dalle sigarette elettroniche. O, almeno, così fa capire lui, che non pare segua il protocollo della collega Susan Sarandon, 67 anni: qualche funghetto, ogni tanto, lei se lo concede, per mandare in cantina la terza età.
Del resto, la sua vicenda sentimentale con Melanie Griffith, conosciuta a 15 anni e chiesta in fidanzata il giorno in cui lei ne compiva 18; sposata nel gennaio 1976 e mollata a fine anno, quindi risposata nel 1989 e rimollata nel 1996, dopo che i due avevano avuto Dakota, lasciò Don a pezzi. Anche se, nel frattempo, un po' di consolazione tra le braccia di Barbra Streisand, con la quale ha inciso qualche disco, c'era scappata. «La trovavo affascinante. Una donna buffa e profonda. M'ha aperto gli occhi su cose che neanche vedevo», rivela l'attore in una delle tante interviste, che adesso i media gli dedicano. Tra Cold in July , thriller ironico di Jim Mickle, dove Don incarna l'investigatore cialtrone, che in Texas si fa giustizia da solo, e Alex of Venice , commedia drammatica di Chris Messina, dove recita il ruolo del vecchio attore scafato sulla spiaggia di Venice, California, l'ex-biondino è tornato di gran moda. Forse perché i suoi vecchi fan sono cresciuti e hanno bisogno del suo stile inconfondibile. «Don Juanson», come lo chiamavano ai beati tempi delle sue conquiste seriali - tra le tante, una lunga storia con Patti D'Arbanville, alla quale Cat Stevens ha dedicato la canzone Lady D'Arbanville : da lei Don ha avuto il figlio Jesse -, ora vive in una casa sull'Oceano Pacifico con la moglie Kelly e i loro tre figli Grace, 14 anni, Jasper, 12 e Deacon, 8. Mentre il tempo avanza, Don se la gioca a padre di famiglia pacificato: lo stesso ruolo ricoperto in Cold in July , tratto dall'omonimo noir di Joe R. Lonsdale, Freddo a luglio (Fanucci editore). Tra l'altro, lui è ancora figlio: suo padre è vivo e vegeto e a 84 anni pretende d'essere lasciato in pace, senza badanti o nipoti, laggiù nella fattoria del Missouri, dove si diverte a costruire oggettini in legno. È sempre affascinante, Don, di quella bellezza vissuta che, per esempio, rende ancora carismatico l'attempato Richard Gere. E dimostra almeno quindici anni di meno. Sarà per il suo straordinario Dna che è risorto come un'Araba Fenice lungo varie vite e differenti carriere. In pochi, effettivamente, ricordano che Don è stato un cantante, che ha inciso due album e s'è fatto apprezzare con il musical Guys and Dolls . «Sono meglio di De Niro. Sono meglio di Al Pacino. Io ho talento. Loro hanno buon materiale», diceva all'epoca del suo debutto nel West End.
A rimetterlo in pista ci ha pensato Quentin Tarantino, che in Django Unchained gli affidò la parte del proprietario terriero Big Daddy Bennett. «La riscoperta del mio tocco particolare è solo questo: una riscoperta, appunto. Alle prime uscite, uno è ambizioso. È il tuo ego a guidare l'autobus. Poi, però, ti rilassi», confessa il re del cool, che sente di non essersene mai andato dalla scena. È un tipo distaccato, insomma, che ricorda d'essere cresciuto in una fattoria del Missouri, per cui non l'ha eccitato più di tanto recitare con Tarantino il ruolo del fattore: tra l'altro, di recente s'è comprato un ranch ad Aspen. «Perdonare è una buona cosa. E siccome ho cominciato da me, mi perdono. Se vuoi cambiare il mondo, il miglior modo per iniziare questo cambiamento è partire da se stessi», sermoneggia sul Guardian .
D'altra parte, qualcosina da perdonarsi ce l'ha, «Don Juanson»: a 12 anni finì in riformatorio per aver rubato una macchina e negli Ottanta, quand'era il divo più pagato della tv Usa, descrisse la sua giornata-tipo in compagnia di una cassa di birra, un po' di Martini, varie bottiglie del miglior vino e, dopo cena, parecchio brandy Napoleon». Bentornato, Don.
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