In tour coi Rolling Stones: accesso illimitato agli eccessi

Nel 1972 il grande fotografo coglie la band al massimo dello splendore musicale. E all’inizio di una decadenza dovuta a troppi soldi, troppa droga e troppe donne

In tour coi Rolling Stones: accesso illimitato agli eccessi

Sono sempre loro a fare notizia. La loro presenza (poi smentita) al festival di Glastonbury sarebbe stata l’evento rock dell’anno, così come la tournée annunciata e non ancora confermata per l’anno prossimo o la ventilata (sarebbe una bomba) collaborazione con Jack White. Giocandosi quotidianamente la vita sulla corsia di sorpasso, con la musica e i loro atteggiamenti hanno portato alla maturità il rock’n’roll, fino ad allora considerato un paradiso per adolescenti. I Rolling Stones hanno pagato un prezzo molto alto (a partire dalla morte di Brian Jones) per diventare «la più grande r’n’r band del mondo», e il 1972 fu la loro età dell’oro, il ritratto di un’era finita prima che potessimo capire che si trattava di un’era. Prima d’allora non salivano sul palco per farsi ascoltare, ma per recitare davanti a mille ragazze con sguardi al tempo stesso insolenti e lacrimevoli. Con quel tour americano (a base di cocaina e Tequila Sunset e con l’imprimatur di personaggi come Truman Capote) che incassò l’incredibile cifra di quattro milioni di dollari, hanno catturato, senza più mollarlo, lo scettro di re del rock cui persino la copertina di Life rese onore. Sono belli e dannati: Mick Jagger è Lucifero, nemico di tutto ciò che è monotono; Keith Richards è un alieno che si fa riprendere, strafatto, sotto un cartello che dice: «un’America senza droga viene prima di tutto» e con loro un’accozzaglia di personaggi («una ciurma di pirati pronta a scolarsi l’impossibile») tra cui il fotografo Jim Marshall che ha raccolto tutte le splendide immagini di quel (formidabile) anno nel libro The Rolling Stones 1972 (Gallucci, pagg. 168, euro 24,90). «Jim Marshall lo diceva sempre - scrive Keith Richards nella prefazione - quel che serve è l’accesso illimitato, arrivava e diventava subito uno degli Stones. Ci ha beccati coi pantaloni calati e in tutti i nostri alti e bassi...». Tra l’altro nulla è scontato nelle foto, perché anche la celeberrima immagine di Life nasconde un segreto; si dice che provenga dal Madison Square Garden, ma quel concerto si è tenuto due settimane dopo l’uscita della rivista, quindi dovrebbe essere quella del Forum di Los Angeles del 14 luglio. Insomma roba per fan incalliti. Ecco il segreto di queste immagini, non solo gli eccentrici abiti di scena o le foto in movimento ma soprattutto i primi piani che raccontano le loro vite più di mille parole. Dei sul palco, eroi senza maschera, anzi con tanti difetti e rughe, quando sono a riposo. Non ci sono trucchi nelle foto di Marshall, sia che ritragga Jagger con John Lee Hooker o con Chris O’Donnell (una delle prime tour manager donna che lavorò anche con i Beatles e con Crosby Stills Nash & Young) sia che riprenda Mick Taylor o Charlie Watts o Richards che si trucca in camerino o la band durante le sessions di Exile on Main Street. Un altro simbolo degli Stones di quell’anno; un classico di tutti i tempi inciso con le tecnologie «più avanzate». Durante l’ultima fase d’incisione, a Los Angeles (con Marshall in studio) gli Stones mandavano le registrazioni ad un dj e poi le ascoltavano in auto su e giù per Sunset Strip per valutare la qualità del suono. Quella gloriosa tournée americana, con concerti che spaziavano dal Madison Square Garden di New York al mitico Fillmore di San Francisco e il pubblico di big - da Bob Dylan a Zsa Zsa Gabor - nel backstage servì a riabilitare gli Stones dalla macchia del concerto di Altamont, quando gli Hell’s Angels uccisero un ragazzo di colore trasformando il sogno hippie in un incubo.

Prima del ’72 avevano ancora molte cose da dimostrare (per molti erano semplicemente i rivali dei Beatles) da allora sono il simbolo della cultura rock che sa filtrare in una miscela altamente infiammabile commercio, arte e trasgressione.

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