La tragica Grande guerra dei soldati quasi bambini

Le trincee, la fame, la battaglia. Il regista: «Molti militari italiani morirono senza sapere perché. Abbiamo compiuto un tradimento»

La tragica Grande guerra dei soldati quasi bambini

È il tocco di Olmi: scalda la memoria del cuore e avvicina ciò che sembra remoto nel tempo, partendo da un cucchiaio, da un mulo, da un larice. Perché è molto lontana la Prima Guerra Mondiale, con i suoi eventi bellici internazionali e quei milioni di morti che il regista bergamasco, noto per il suo cinema alto e fuori dagli schemi, ora umanizza in torneranno i prati (minuscola voluta, in sala da giovedì).

Un film drammatico in un bianco e nero da cartolina primonovecentesca, dove tornano anche i nostri dialetti. A ricordare che ci fu un tempo, per quanto sanguinoso, in cui tra i giovani italiani circolava una diversità linguistica affratellante. Canta in napoletano il soldato del rancio (Andrea Di Maria), solo tra la neve e davanti alla montagna degli altipiani di Asiago e impreca in veneto il tenentino pallido (Alessandro Sperduti), che rifiuta i suoi gradi.

In trincea però, sono tutti uguali: tremano sotto ruvide coperte militari, leggono lettere da casa, danno palline di pane a un topo che passa in branda, ascoltano il rombo dei cannoni a valle. Sono ragazzi lontani dalla famiglia e amaramente dicono: «Non c'era la morte nei nostri sogni». Nel loro presente, sul fronte del nord-est, in un'unica notte del 1917, c'è però il gelo della fine incombente. Accostando l'orecchio a una pietra, si sente il trapano degli Austriaci, che scavano sotto di loro per piazzare una mina e farli saltare in aria...

E se papa Francesco denuncia la Terza guerra mondiale in corso, ecco il monito di Ermanno Olmi, classe 1931, che dedica il film a suo padre, chiamato alle armi a 19 anni, dentro la carneficina del Carso e del Piave. «Nei confronti di questi giovani soldati e anche dei milioni di civili caduti, abbiamo compiuto un grande tradimento. Non abbiamo spiegato loro perché sono morti. Adesso celebriamo il Centenario, con fanfare, bandiere e discorsi. Ma se prima non sciogliamo questo nodo d'ipocrisia, resteremo sempre in quella fascia neutrale, che è già tradimento. Mi auguro che questa celebrazione del Centenario trovi in noi un motivo per chiedere scusa. Ho in mentre un ammonimento di Albert Camus: “Se vuoi che un pensiero cambi il mondo, prima devi cambiare te stesso”», spiega Ermanno Olmi nel videomessaggio registrato in un ospedale di Milano, dov'è ricoverato per via d'una polmonite.

Ben recitato da attori giovani e poco noti, tra i quali spicca Claudio Santamaria come maggiore non incline al comando - «lavorare con Olmi è come stare col Dalai Lama», dice -, torneranno i prati è una produzione costata 100mila euro a Rai Cinema, che con Edison e con il sostegno della Presidenza del Consiglio dei Ministri, oggi, nel giorno dell'anniversario dell'Armistizio, che pose fine alle ostilità della Grande Guerra, verrà proiettata in quasi 100 Paesi.

Un'iniziativa senza precedenti, in contemporanea con un'anteprima romana alla presenza di Giorgio Napolitano e delle più alte cariche istituzionali. Tra i vari temi sottesi a questa pellicola, che scansa il digitale e, con la fotografia di Fabio Olmi, punta all'effetto rétro - lentezza, dialoghi parchi, primi piani sui visi sofferenti -, c'è quello della natura consolatoria. Scappa una lepre, una volpe s'avvicina, un mulo mansueto porta i viveri e gli uomini, dal bunker, li osservano con affetto.

«È una grande idea della natura, che su tanto sangue versato siano tornati a fiorire i prati.

Ho voluto mostrare, tra tutti i sentimenti, il più nobile: l'amor patrio. Quei giovani ci hanno creduto e sono stati sacrificati dai potentati dominanti. Spero che questo film mostri la trappola del tradimento dei più potenti verso i più deboli», auspica Olmi.

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