Cultura e Spettacoli

Troppa sincerità fa male specialmente in famiglia

In "Les Miens" del francese Zem, un incidente porta un uomo a non avere più filtri. E succede di tutto

Troppa sincerità fa male specialmente in famiglia

«Nella casa di una famiglia felice, semplici stoviglie di ceramica risplendono più della giada». Un proverbio cinese che potrebbe essere usato come frase di lancio di Les Miens, film francese che è anche l'ultimo in concorso alla Mostra di Venezia. Una storia che sembra presa a prestito dalle tante che, quotidianamente, si vivono dietro le porte di ogni famiglia. Perché la pellicola diretta (bene) ed interpretata (ancora meglio) da Roschdy Zem (che recita anche in un altro titolo in gara sulla Laguna, ovvero l'ottimo I figli degli altri, accanto a Virginie Efira) racchiude vizi e virtù di tanti nuclei famigliari.

Zem, attore icona del cinema francese, ha pescato dal suo vissuto, che sembra un andazzo molto praticato in questa Mostra veneziana 2022. Come conferma lo stesso autore (al suo sesto film da regista): «Girare questo film non è stata una decisione; per me è stata una necessità. Non avevo mai rivelato questioni così personali nelle mie opere. Attraverso il ritratto di una famiglia ho voluto condividere drammi, conflitti, nevrosi, dolori e anche momenti di felicità, evitando distorsioni culturali o religiose, per me sempre troppo presenti quando si parla di una generazione di origine immigrata».

E fa bene Roschdy Zem, attore e regista francese, di origine marocchina, a specificarlo, perché la sua notevole carriera lo vede spesso impiegato come caratterista in ruoli di personaggi nord-africani. Qui, invece, il ritratto di famiglia, pur riguardando immigrati di origine magrebina, dovrebbe essere guardato senza il filtro del pre-giudizio. Al centro della storia ci sono due fratelli. Moussa è quello sempre disponibile, premuroso, disposto ad aiutare gli altri, che non dice mai di no. Al contrario, invece, dell'egocentrico fratello Ryad, presentatore televisivo di successo di una trasmissione sportiva, che tratta parenti, amici e fidanzata a suo uso e consumo. In pochi lo sopportano e reggono, a parte il solo Moussa. Un giorno, però, succede un imprevisto. Una caduta accidentale provoca a Moussa un grave trauma cranico, dalle conseguenze inaspettate. L'uomo, infatti, si mette a parlare senza filtri, dicendo in faccia, non solo agli amici, ma anche alla sua famiglia, la verità. Rivelazioni difficili da accettare che finiscono per creargli il vuoto intorno. L'unico a capirlo e sopportarlo è proprio Ryad e il confronto quotidiano con questa nuova versione del fratello finirà per farlo crescere e cambiare.

Come ha rivelato lo stesso Zem, quello che capita al Moussa del film è esattamente quanto accaduto a suo fratello. «Il film è ispirato ad un fatto realmente accaduto nella mia famiglia. Quando il lobo frontale va a farsi benedire, si dicono cose vere senza mediazione. E succede di tutto. Il film parla anche di questo: fino a dove si può arrivare con le parole, con la sincerità? A volte la sincerità può anche distruggere una famiglia. Per me questo film è anche una sorta di allegoria sulla società moderna e sulle relazioni tra persone e anche con i media. La storia del film nasce da un incidente capitato a mio fratello minore. In seguito a un trauma cranico, un uomo sempre gentile è diventato molto disinibito e ferocemente schietto. Questo ha generato un cataclisma all'interno della mia famiglia, che è un'unità dai legami molto forti ma allo stesso tempo segnata da conflitti, come tutte le famiglie. Tutto ciò che riguarda questo incidente ci ha scosso profondamente. Quando uno di noi è colpito, lo siamo tutti».

Da qui l'idea del film, con la bravura di raccontare una storia drammatica, ma senza perdere il gusto di intrecciarla con la commedia. «Nel film abbiamo dovuto ricercare questi aspetti, come in alcune commedie italiane che vedevo da piccolo. Ricordo i film di Ettore Scola, o di Vittorio De Sica, che trattavano eventi tragici facendo ridere». Nei panni del fratello cambiato dal trauma cranico c'è Sami Bouajila: «Poter dire tutto quello che si pensa è molto liberatorio», sottolinea divertito. Lungometraggio che andrebbe fatto vedere a qualche regista nostrano, quelli che considerano e rappresentano la famiglia solo come ricettacolo di tradimenti, nevrosi, narcisismo e infelicità. Invece, anche nel dramma, si possono raccontare valori positivi.

Con una riflessione interessante sulla devastazione psicologica alla quale può condurci la tecnologia, come illustra bene il divorzio digitale sancito via zoom, in una delle scene più toccanti di questo bel film.

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