di Luigi Malnati*
Quando, all'inizio del '900, i governi dell'Italia liberale istituirono le soprintendenze (1904, governo Giolitti, ministro V.E. Orlando) per tutelare il patrimonio culturale ed artistico della nazione, pensarono giustamente di suddividere per competenze: storico artistiche, ai monumenti, ai musei e scavi di antichità. Come è noto, la riforma del ministro Franceschini, che ha seguito le linee proposte da una commissione istituita dal suo predecessore Bray (ambedue governi di centro-sinistra) ha stravolto questa organizzazione che aveva resistito per oltre un secolo, imitata da molti Paesi, unificando le soprintendenze e separandole dai musei.
La riforma ha suscitato polemiche tra gli addetti ai lavori, ma è stata con eccezioni presentata favorevolmente all'opinione pubblica.
Non voglio entrare nel merito della questione generale, ma credo dopo due anni necessario chiarire che ad oggi gli effetti per l'archeologia, come rilevato da una lettera al ministro delle principali organizzazioni degli archeologi, sono stati gravi, se non devastanti. Cercherò di spiegarmi nel modo più semplice.
1 - Le soprintendenze archeologiche avevano per lo più valenza regionale e si erano strutturate sul territorio da decenni; nella sede centrale erano concentrati archivi con documentazione, biblioteche specializzate, uffici tutela dedicati, laboratori di restauro, fotografico, grafico, i principali magazzini. Queste sedi sono ora nel migliore dei casi uffici distaccati di soprintendenze uniche che hanno un territorio molto inferiore, mentre altre soprintendenze sono del tutto prive di questi strumenti indispensabili per la tutela archeologica.
2 - La mole di lavoro istruttorio che le soprintendenze uniche devono svolgere in campo architettonico e paesaggistico è enormemente superiore a quello per l'archeologia (infatti le soprintendenze ai monumenti erano il doppio rispetto alle archeologiche) e quindi l'archeologia, privata anche della gestione dei musei, finisce per svolgere un ruolo ancillare.
3 - La stessa separazione tra uffici di soprintendenza e musei archeologici, assegnati a poli museali eterogenei o resi autonomi e dipendenti da un'altra direzione e struttura, è per l'archeologia deleteria; i musei archeologici vivono in simbiosi con gli scavi e devono essere costantemente rinnovati in base ai rinvenimenti (in Italia ci sono non meno di 2000 scavi all'anno di tutela e ricerca). La mancanza di un raccordo stabilito a livello organizzativo rende tutto più complicato e congela i musei archeologici (ora è diventato più semplice per le soprintendenze uniche rapportarsi ai musei civici!).
4 - infine la questione più importante: è venuta a mancare una rappresentanza istituzionale specifica per l'archeologia sia a livello di direzione generale (anche questa unica) sia a livello territoriale (in Italia!). Le strutture archeologiche italiane non avevano solo compiti di mera tutela poliziesca (come piace alla nostra gauche cavière), ma anche di coordinamento della ricerca, di studio e di valorizzazione. La tutela archeologica comporta sempre delle scelte, di conservazione o di scavo, e per scegliere il dirigente responsabile deve conoscere.
Del resto si può valorizzare solo ciò che si è conservato e per farlo bene bisogna conoscere ciò che si mostra al pubblico. Semplice no? In Italia la riforma ha voluto separare proprio conservazione, ricerca e tutela: una buona idea?*Già direttore generale alle antichità
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