Un undicenne salvato dall’11 settembre

Un undicenne salvato dall’11 settembre

Come raccontare l’indicibile? Come rappresentare quell’orribile buco nero che nel cuore di New York l’11 settembre del 2001 ha ingoiato l’umanità intera? Nel 2005 a 28 anni Jonathan Safran Foer, lo scrittore di Ogni cosa è illuminata, è riuscito nell’ardito compito con una vulcanica, complessa, profonda ed eccentrica (anche da un punto di vista tipografico) opera seconda, Molto forte, incredibilmente vicino (sempre pubblicata con successo da Guanda). Che, naturalmente proprio come il primo romanzo, non poteva non diventare un film. Così arriva ora in Italia (mercoledì 23 maggio) l’omonima pellicola che in America non ha sfondato né al botteghino né agli Oscar diretta dal britannico Stephen Daldry (Billy Elliot) e sceneggiata da uno dei più grandi adattatori di Hollywood, Eric Roth (premio Oscar per Forrest Gump).
Al centro della storia c’è l’undicenne newyorchese, Oskar (interpretato dal solito attore statunitense, esordiente e strepitoso, Thomas Horn), che, come il suo omonimo del Tamburino di latta di Günter Grass, ama uno strumento, un tamburello. Più che altro perché lo calma visto che il ragazzo ha aspetti geniali ma anche parecchi problemi di relazioni sociali (nel libro si accenna a una forma di autismo, la sindrome di Asperger). Suo grande appiglio è il padre (un Tom Hanks un po’ spaesato) che però la mattina dell’11 settembre del 2001 lascia sulla segreteria del telefono di casa sei messaggi dal World Trade Center in fiamme.
Fin qui il dramma, di un ragazzo, d’una nazione, d’un’epoca. Poi Oskar, tra gli oggetti appartenuti a suo padre, trova una chiave in una busta con il cognome «Black» e, nel tentativo di scoprirne il proprietario e che cosa apra, si mette - con l’ostinazione dei più piccoli - alla ricerca sistematica di tutti i 472 «Black» della Grande Mela. Un percorso che si trasforma, in maniera molto interessante, in una catarsi. Dove il dolore personale del ragazzo è quello collettivo e quotidiano di ogni singolo essere umano raccontato dal cinema di Daldry attraverso intensi primi piani che sottopongono lo spettatore a un bombardamento di emozioni ai massimi livelli perché tutto è raccontato attraverso la fabula tipicamente hollywoodiana. Ma anche i più duri di cuore non potranno non rimanere affascinati quando il ragazzo, alla ricerca del suo tesoro, inizia a fare coppia con l’inquilino dell’appartamento di sua nonna, uno strambo e muto anziano interpretato da un magnetico Max Von Sydow che a tratti sembra Buster Keaton. E qui siamo ai livelli cinematografici più alti e convincenti, sottolineati da una splendida colonna firmata da Alexandre Desplat. Il film fa una scelta chiara, e paradossalmente anche coraggiosa, nell’uso della retorica.

Così la carne viva di un dramma collettivo trova pace attraverso il racconto di formazione di un ragazzo che riconosce se stesso e quindi gli altri. Grazie, e fa male dirlo ma non è una bestemmia, a quell’11 settembre. Da Oskar chiamato sempre e solo «il giorno più brutto».

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