Ad aprire la settantaseiesima Mostra del Cinema di Venezia è stato il film in concorso "La vérité" del regista Hirokazu Kore'eda, un family-drama che, partendo dalla descrizione di un rapporto madre-figlia, finisce col riflettere sul tempo che passa e sul mestiere di attrice.
Per il regista e sceneggiatore giapponese si tratta del primo film girato fuori dal suo Paese e dotato di un cast internazionale di assoluto prestigio, che annovera nomi come Catherine Deneuve, Juliette Binoche ed Ethan Hawke.
Fabienne (Catherine Deneuve) è una star del cinema francese che quando pubblica la sua autobiografia riceve a Parigi la visita della figlia Lumir (Juliette Binoche), tornata da New York assieme al marito (Ethan Hawke), attore americano di serie B, e alla figlioletta. L'incontro diventerà presto l'occasione perché emergano conti in sospeso, rimorsi e risentimenti.
I microcosmi familiari sono già stati protagonisti del lavoro del 57enne regista in "Father and Son" (2013), "Little Sister" (2015), "Ritratto di famiglia con tempesta" (2016) e "Un affare di famiglia" (Palma d'oro a Cannes nel 2018). La natura universale della poetica di Kore'eda emerge però forse più nitidamente proprio ora che l'autore si è messo alla prova fuori dalla terra natia: di madri ingombranti e figlie in fuga dalla loro pesante ombra, del resto, è pieno il mondo. Oltre a parlare degli effetti di una genitorialità tossica, il film pone interrogativi velati su questioni di varia natura: dove si nutre il talento? L’anima di chi consacra la propria vita alla recitazione conserva una sua autenticità? Come ci si vuole bene in una famiglia disfunzionale?
A rendere spassosa una commedia umana che danza tra menzogne, nevrosi, rimpianti e riconciliazioni, è soprattutto il personaggio interpretato da una gigantesca Catherine Deneuve, verso cui l'attrice ha ammesso davanti ai giornalisti di nutrire profonda comprensione e in cui ha rivelato di aver messo molto di se stessa. La sua Fabienne è una donna che si è cristallizzata nella propria aura di superiorità e che dispensa con infinita nonchalance frecciate e occhiatacce senza perdere un minimo del proprio altero e affascinante distacco. Anaffettiva, almeno all'apparenza, fedele non tanto a se stessa quanto all'idea che si è costruita di sé, antepone la propria soddisfazione a quella di chiunque altro. Viziata e adorata dalle figure maschili che le ruotano attorno, è una donna agé che ha ancora un grande appetito per la vita, si compiace del proprio cinismo e si autoassolve continuamente in nome di una leggerezza che invero ha molto in comune con la superficialità. Questa straordinaria figura materna, tragica eppure umoristica, è ora una dea dispettosa ora una strega ammaliante, ma sempre fedele al culto della propria persona e intenta a giocare con la cattiva reputazione che la precede, non importa se di fronte ad un intervistatore o innanzi alla propria nipotina.
Il contraltare a una creatura siffatta è la figlia col volto di Juliette Binoche, incarnazione vivente di come non basti cambiare cielo per silenziare i ricordi, soprattutto quelli dolorosi, o dimenticare le questioni irrisolte.
Nell'ottica dolce-amara con cui Kore'eda si accosta all'animo umano, dall'interazione tra le due donne emerge come non sia mai troppo tardi perché le ferite non guarite, una volta riaperte, possano essere suturate dalla tenerezza.
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