Il vecchio DeLillo ha trovato la soluzione per la vita eterna

Il romanzo "Zero K" è una lunga meditazione metafisica (e fisica) sul significato dell'esistenza

Il vecchio DeLillo ha trovato la soluzione per la vita eterna

È inutile girarci intorno: l'unico vero problema di noi umani è la morte. Per gli altri animali no, perché non ci pensano. Senza la morte si vivrebbe meglio, non ci sarebbe bisogno di filosofia né di religioni che promettono paradisi e resurrezioni. Non a caso un importante studio di Philippe Ariès identifica nella morte il nuovo tabù della modernità. Ma cosa potrebbe, un giorno, sconfiggere la morte? Solo la scienza. Che per sua natura non ammette fede (la «fede nella scienza» è un'invenzione della religione) ma fiducia e speranza sì. Se solo si sbrigassero, ognuno di noi teme che la cura per una tale malattia arriverà quando saremo già morti, bella fregatura. E non date retta agli alibi, umani troppo umani, secondo cui vivere in eterno ci annoierebbe, da Jonathan Swift a Highlander, col cavolo. Fateci vivere per sempre e poi ne parliamo, l'avevano capito perfino i replicanti di Blade Runner.

Un'alternativa alla morte, basata sulla fiducia nella scienza, è l'ibernazione. Con la sicurezza che prima o poi, tra cinquanta, cento, mille anni, ci scongeleranno e ci cureranno da ogni malanno e potremmo davvero vivere una vita eterna. Come succede a Ross e Artis nell'ultimo romanzo di Don DeLillo, intitolato Zero K (Einaudi), la misura della temperatura allo zero assoluto (corrispondente a meno 273,15 gradi Celsius). La storia è semplice: un magnate della finanza, Ross Lockhart, accompagna sua moglie, gravemente malata, nel deserto del Kazakistan, dove ha sede un'azienda tecnologica, Convergence, che conserverà la coscienza e il corpo di Artis a tempo indeterminato, finché non si sarà in grado di risvegliarli. La promessa: «morire come esseri umani e rinascere come cloni criogenici». Le teste vengono staccate dai corpi e custodite separatamente, in attesa di poter rivivere dentro nuovi corpi, e l'ossessione per il corpo e l'identità nel corpo domina l'intero romanzo, con pagine bellissime, beckettiane, e altre così visionarie da sembrare Antonio Moresco prima che Moresco diventasse una suora. Ma quand'è che una persona diventa un corpo? Quando smettiamo di essere vivi, diventando solo un corpo morto? «Ci sono vari livelli di resa. Il corpo interrompe una funzione e poi forse un'altra o magari no il cuore, il sistema nervoso, il cervello, dalle diverse parti del cervello al meccanismo di ogni singola cellula». D'altra parte, filosoficamente, non ci sono anima e corpo (l'errore di Cartesio indicato dal grande neurologo Antonio Damasio), noi siamo il nostro cervello e il cervello è parte del corpo, una parte che ci fa pensare ma pur sempre corpo, materia pensante. Basta una minima lesione nella corteccia cerebrale per non essere più noi, e nessun filosofo o teologo è riuscito a conciliare l'anima con l'Alzheimer.

Quella di DeLillo è una meravigliosa riflessione sul senso e sul non senso della vita, sul dolore di esistere e anche di continuare a esistere senza le persone amate; infatti l'insensibile affarista Ross deciderà di farsi ibernare con la moglie, non potendo più vivere senza. «Se uno dei due muore, deve morire anche l'altro». In quanto anche questo è il terribile problema della morte, sopravvivere a chi ci ama sapendo di non rivederlo più. Nel caso in questione, invece, almeno c'è la speranza di rivederlo.

Una lunga meditazione fisica e al contempo metafisica, siccome Convergence in fondo è una specie di setta («quella gente era pazza o forse incarnava l'avanguardia di una nuova coscienza»), per compiere il passo bisogna crederci, e le procedure criogeniche assomigliano a un'eutanasia ma promettono il lieto fine, la vita eterna non nel Regno dei cieli ma nel futuro, più credibile. «Che cosa troveremo qui? Una promessa che gode di maggiori garanzie rispetto a tutti gli ineffabili aldilà delle religioni organizzate di questo mondo».

Al posto delle cripte ci sono capsule, al posto delle tombe dei gusci. A proposito, è paradossale pensare che la religione, che crede nella vita eterna e per definizione è antimoderna e anticapitalista, tenda a voler tenere i malati in vita fino all'ultimo, perfino quando sono dei vegetali attaccati a delle macchine, o peggio dei moribondi sofferenti.

Così come altrettanto curioso è che c'è sempre una retorica della vita e dell'amare la vita, ma chi ama la vita non può accettarne la fine, non certamente per la banale ragione che «così è la vita». Mentre «la scienza cambia tutte le credenze precedenti», e quando avrà sconfitto la morte finalmente la vita avrà un senso universale, condiviso da chiunque sia vivo: quello di non finire mai.

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