"Il vero Molleggiato sono io" Parola di Jack La Cayenne

Il ballerino fantasista portò il rock and roll in Italia ma divenne famoso ingoiando una tazzina da caffè

"Il vero Molleggiato sono io" Parola di Jack La Cayenne

«Ho in casa un filmato della Rai in cui mostro a Celentano come muoversi quando canta 24mila baci». Non è un mitomane che parla, ma Alberto Longoni da Oggiono, Milano, meglio noto come Jack La Cayenne ballerino, fantasista, mimo e personaggio geniale che ha portato il rock'n'roll in Italia. Oggi ha 80 anni, vive a Roma con la moglie, si diletta nel costruire ceramiche e - quando capita - balla ancora. Lo abbiamo sentito per parlare del mondo del rock in occasione della presentazione, ieri a Milano, del libro di Michele Bovi Eroi, spie e banditi della musica italiana con un convegno cui hanno partecipato molte star degli anni '60: da Shel Shapiro a Gino Santercole. Quando ballava Jack era completamente snodato e faceva gesti e passi che nessuno sapeva imitare, tipo alzare la gamba e usarla come una chitarra, uno dei suoi numeri preferiti. Un tempo era lui «il molleggiato», ma poi il nome, per uno scherzo del destino, passò ad Adriano Celentano. «Il 18 marzo 1957 ero nel cartellone del Primo festival del r'n'r al Palazzo del Ghiaccio di Milano con il nome di Torquato il Molleggiato. Poi successe una cosa strana. Io, Enzo Jannacci ed altri uscimmo dal Palazzo per bere un caffè e nel frattempo arrivò l'ordine della Questura di sospendere lo spettacolo. Ma c'era troppa gente all'interno, così decisero di fare lo show ma di non far rientrare nessuno, nemmeno noi artisti. Tutti videro Adriano muoversi come un ossesso e i giornalisti fecero il resto...da allora fu lui il molleggiato e io cambiai nome». Però Jack e Adriano rimasero sempre amici. «Adriano partì per il militare, come Elvis, e io continuai ad esibirmi in tutta Italia, quando tornò andammo in tournée, sui cartelloni c'era scritto I Ribelli di Adriano Celentano con Jack La Cayenne. Adriano cantava L'orologio matto (versione italiana di Rock Around the Clock) e Tutti Frutti, poi con 24mila baci prese il volo, ma anch'io divenni famoso e cominciai a ballare e a fare spettacolo in tutto il mondo, da Londra a Tokyo. Devo dire che i miei numeri facevano colpo». Come quello - che lo ha reso celebre anche in programmi televisivi come No stop - in cui si infila in bocca una intera tazzina da caffè. «È un trucco che mi ha insegnato Walter Chiari. Eravamo a Madrid con Vittorio De Sica e Memmo Carotenuto per girare il film Gli zitelloni e io feci vedere a Walter come mi mettevo in bocca l'intera mano. Lui fece la stessa cosa con la tazzina da caffè: da allora quello è diventato uno dei miei numeri preferiti».

A proposito di film, è memorabile il suo anarchico e scatenato balletto nel film Yuppi du. «Quella scena l'ha voluta Adriano, mi ha detto fatti venire qualche idea per un balletto. Così ho preso un vestito bianco e l'ho tagliato per creare le frange e ho inventato un passo: abbiamo girato la scena due volte per sicurezza ma era già buona la prima». E fu un grande successo, ma del successo Jack se n'è sempre fregato e ha vissuto liberamente e gioiosamente lavorando con tutti i più grandi. «Negli anni Sessanta Settanta ho conosciuto tutte le star ma allora non si davano arie. A Londra bevevo il caffè - perché sono astemio e neppure ho mai fumato - con i Who o Mick Jagger. Jimi Hendrix era un ragazzo semplice, quando venne al Piper di Milano, gli presentai Ines, una sua fan scatenata alta 1.50, una specie di Brigitte Bardot in miniatura, ho anche delle foto fatte con i Beatles». E nel suo palmares c'è anche una chicca: «Non ricordo quando, ma eravamo sull'Adriatico, tra Pescara e Porto Recanati. Allora per alcune serate mi accompagnò l'orchestra del chitarrista Livio Gusmita che aveva al contrabbasso Silvio Berlusconi. Venimmo fuori tutti in quel periodo, da Tony Dallara che cantava country & western con i Rocky Mountain al Santa Tecla di Milano, a Tony Renis che suonava la chitarra ed era balbuziente, tranne quando saliva sul palco per cantare. Dovette attendere un po' per sfondare con Quando quando quando».

Una vita avventurosa fin da bambino quella di Jack. «I miei mi facevano studiare il violino ma smisi presto, mi inventai una scenografia e lavorai con un amico che suonava il sax. Intanto trovai lavoro in una litografia a Milano; però mi presero a fare la claque in teatri come il Lirico e l'Odeon, così potevo avvicinare artisti e ballerine. Una sera incontrai degli amici di Giussano, più grandi di me, che mi portarono in un night club, l'Embassy, con le ragazze che si spogliavano e tutto il resto. Durante una pausa i miei amici mi incitarono in dialetto milanese: dài, sali sul palco.

Così cominciai a ballare il charleston, il boogie woogie, mi tolsi la cintura, strisciai per terra come un serpente e alla fine il direttore mi disse: ti assumo, ti do mille lire per sera. Accettai subito, in litografia prendevo 4mila lire a settimana...»

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