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"Il vero potere? Avere il coraggio di farne a meno"

L'interprete di Bilbo racconta il secondo capitolo di Lo Hobbit. Tra draghi virtuali e timori per la reazione dei fan di Tolkien

"Il vero potere? Avere il coraggio di farne a meno"

Los Angeles - Tornano gli hobbit in The desolation of Smaug, il secondo capitolo della trilogia tratta dal romanzo del 1937 di J.R.R. Tolkien diretta da Peter Jackson. E con loro torna il protagonista Martin Freeman nel ruolo del piccolo eroe Bilbo Baggins. Il primo film della serie, An Unexpected Journey, incassò lo scorso anno oltre un miliardo di dollari nel mondo: l'attesa per il nuovo episodio è enorme. L'inglese Freeman, 42 anni, attore di modesta statura (1,69) e dai modi riservati, ma navigato professionista (è in scena da quando è adolescente fra teatro, BBC e cinema, e lo ricordiamo come Tim in The Office e nella commedia Love Actually), si sente pronto a riaffrontare il pubblico esperto di hobbit, nani, elfi e dragoni. Ma non lo scrutinio pubblico sulla sua persona. «Non sono abituato a tanta attenzione e non mi ci abituerò mai», ci ha detto alla premiere del film a Los Angeles, cui ha partecipato con riluttanza. «Questa è la produzione più grande, anzi enorme, che abbia mai affrontato e grazie a Dio sarà l'ultima!». Sorride, ma parla sul serio.

Dopo un anno a Wellington, in Nuova Zelanda, per le riprese dell'intera trilogia, l'attore è tornato a Londra (è padre di due figli piccoli), dove ha ricominciato a lavorare per la premiata serie Sherlock, in cui è il dottor Watson accanto a Benedict Cumberbatch (Holmes). E si sta apprestando a girare la miniserie della cable FX Fargo, ispirata al celebre film dei fratelli Coen.

In La desolazione di Smaug, nelle sale in Italia da giovedì prossimo, Bilbo si unisce al mago Gandalf (Ian McKellen) per aiutare i 13 nani a ritrovare un bottino d'oro tenuto nascosto dall'odioso drago/serpente Smaug (nella versione originale in inglese la voce e le movenze di Smaug, tramite motion-capture, sono state affidate proprio a Cumberbatch). Freeman è molto bravo a ritrarre il bravo e leale hobbit dandogli nuove dimensioni, passando dall'allegro compare del primo film a colui che trova grande coraggio, nel secondo, e la determinazione per portare a termine la missione e affrontare la minaccia immane.

Mister Freeman, ci dica di Bilbo: come il suo nipote Frodo in Il signore degli anelli, anche lui combatte la tentazione e soffre l'insopportabile malia dell'Anello?
«È tipico di Tolkien: non esiste potere senza tentazione e viceversa. Ma il potere vero l'ottiene solo colui che pensa prima al bene degli altri. In questo caso alla sopravvivenza, sconfiggendo i demoni interiori del desiderio di potenza. Suono un po' nietzscheano? Spero di no».

Che rapporto aveva con Tolkien e gli hobbit prima di venir scritturato per la trilogia?
«Mai letto Tolkien. Da ragazzino non mi interessava perché sentivo dire in giro che era uno di destra, o di cui i lettori di destra si erano impossessati. Ora mi sembrano tutte sciocchezze. Avevo visto la trilogia del Signore degli Anelli, dunque sapevo qualcosa della storia e della mitologia, ma niente letture».

Leggerà i libri di Tolkien ai suoi figli?
«Quando avranno 10/12 anni sì, li leggerò con loro, se vorranno. Ma non li forzerò. Di sicuro mi sfotteranno vedendomi sullo schermo con le orecchie lunghe e i piedoni, e più piccolo di quanto sia in realtà».

I puristi dell'Hobbit hanno protestato perché il personaggio dell'arciere elfa Tauriel, interpretata da Evangeline Lilly, è stato inventato di sana pianta per il film...
«Per fortuna sono solo un umile attore, una marionetta, non l'autore del copione né il regista. Dunque non spettano a me le apologie. A me sembrano polemiche inutili, un film è sempre un'altra cosa rispetto a un romanzo. Ma capisco che quando si toccano i miti bisogna stare attenti».

Il digitale Smaug soddisferà i lettori?
«Peter Jackson ha passato mesi insonne per l'ansia della messa a punto perfetta di questo super-personaggio. Credo che Smaug sia terrorizzante e intrigante insieme, non solo nella forma ma anche nel contenuto: la sua arroganza e il tirannico narcisismo fanno girare i cosiddetti a Bilbo, che trova grandi risorse interiori anche grazie al disgusto e all'odio provato per questa immonda creatura. Sì, Bilbo è capace anche di odiare».

Non teme di venir identificato con Bilbo Baggins per il resto della vita?
«Piuttosto mi sparo un colpo. Ma sa, tra make-up ed effetti speciali non credo che mi si riconosca molto: il pubblico mi vedrà come Watson in Sherlock e non mi assocerà a Bilbo. Ma il timore c'è sempre. Perciò mi sono subito rimesso al lavoro su altri progetti.

Sono uno impaziente, anche un po' incazzoso, ed è meglio che mi tolga di torno dalle cose troppo grosse e popolari».

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