Cultura e Spettacoli

Il virus non è una fiction. "Anna", la favola per adulti narrata dai bambini

Ammaniti, scrittore-regista, trasforma in serie tv il suo romanzo. Dove scoppia una pandemia...

Il virus non è una fiction. "Anna", la favola per adulti narrata dai bambini

Prima ha inventato «La Rossa», virus che sterminava gli adulti, lasciando proliferare orde selvagge di bambini fuori controllo. Poi gli è scoppiato tra le mani un virus vero, «Covid 19» e lì, mentre a Palermo lo guardavano strano, quando dirigeva attori bardati come stessero in ospedale, Niccolò Ammaniti ha capito. La sua sfrenata fantasia combaciava con la realtà, anzi: la precedeva. Se no, uno che è scrittore a fare? Premio Strega, poi. «L'inizio della pandemia mi ha impressionato. La Rossa aveva qualcosa di dermatologico, si manifestava con macchie rosse. Inizialmente ho fatto fatica a capire», dice l'autore che si è dato alla regia perché ha bisogno di vedere quello che scrive, dice. E adesso arriva Anna, nuova serie Sky creata e diretta da Ammaniti, sceneggiatore con Francesca Manieri; tratta dal suo romanzo omonimo (edito da Einaudi nel 2015) e visibile dal 23 aprile, su Sky e Now.

Gli elementi di fascino, qui, abbondano: una Sicilia primitiva, inondata di luce e sommersa dai boschi; bambini che sopravvivono tra i pericoli, vagando in branchi come lupi famelici tra ruderi di centri commerciali e città abbandonate e una bambina, Anna (l'esordiente Giulia Dragotto, 14enne palermitana scelta fra duemila candidate), che parte alla ricerca del fratellino rapito, Astor (l'esordiente Alessandro Pecorella, di 9 anni, prediletto da Ammaniti). Perché, come aveva detto la loro mamma (Elena Lietti), se si è fratelli, si è una famiglia. E la famiglia bisogna proteggerla: è scritto ne Il libro delle cose importanti vergato dalla mamma e usato da Anna come guida, non soltanto per scaldare l'acqua, o annusare un cibo, ma anche per orientarsi tra gli affetti e nel mondo.

Per mettere in piedi tale fiaba nera, dal sapore distopico, Ammaniti ha impiegato molto tempo. «Dopo aver chiuso Anna, come romanzo, ho continuato a pensare alla storia, a questa ragazzina che diventa madre senza esserlo. Intanto, altre storie emergevano nella mia testa: volevo raccontare meglio il passato dei miei personaggi, ma non sapevo come. Poi è arrivata l'idea della serie tv: volevo vedere se le mie storie si potevano incarnare nei bambini», spiega questo autore che si dichiara «ossessionato dall'adolescenza» e che ringrazia «tutti i bambini, che non si sono mai tirati indietro. Io, che non ho figli, mi sono ritrovato con una grande famiglia».

Ora che il gioco del set è terminato, purtroppo per lui, è finita anche la sensazione di amicizia provata con quelli della troupe, con i ragazzini come Alessandro, «il figlio che avrei voluto, pronto a salire sugli alberi e a buttarsi giù». In fin dei conti, Niccolò, qui alla sua seconda prova dietro la macchina da presa (dopo la serie tv Il miracolo nel 2018), s'è dato alla regia per non stare troppo isolato dagli altri, abitudine che ha sempre saputo osservare. «Finalmente ho avuto relazioni umane, che prima non avevo», considera l'artista.

L'impegno maggiore? La ricerca dei luoghi, dove ambientare Anna. «Ancor prima di terminare Il miracolo ero partito per la Sicilia, alla ricerca di posti che dessero l'impressione di un mondo post-pandemia. Nel film, i bambini si spostano all'interno dei centri commerciali. Mentre giravamo a Palermo, è arrivato il Covid e ci siamo chiusi in casa. Con i bambini facevamo videochiamate ogni pomeriggio: erano diventati star esigenti. Chiedevano: Quando si ricomincia?. Gli adolescenti, poi, erano in continua mutazione. Ero stravolto, ma ho potuto lavorare in remoto sul montaggio». Per allontanare l'aura negativa, data l'epidemia che ancora ci stringe d'assedio, a ogni puntata di Anna viene premesso un cartello: «La serie è tratta dal romanzo omonimo pubblicato nel 2015. L'epidemia da Covid 19 è scoppiata sei mesi dopo l'inizio delle riprese». Di certo, il virus raccontato nella serie tv serve da escamotage narrativo. «Volevo vedere cosa fanno i bambini, quando escludono gli adulti. Ci voleva una catastrofe, ma non un terremoto. Avendo studiato biologia, m'è venuto in mente un virus», argomenta Ammaniti, che a cinquant'anni non ci tiene a passare per Cassandra, lui già in debito con la misantropia. E poi c'è la solita storia del messaggio. Qual è, in tanta distopia televisiva, il messaggio? «Che cosa lasciamo ai nostri figli? Quanto conta il passato, per il futuro? Il mondo che racconto ha cancellato la memoria. Solo Anna ha memoria e la mamma le dice di continuare a leggere.

Leggere ci ha permesso di capire come vivevano gli antichi romani, o gli egiziani», è la riflessione.

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