Prima visione

Il cattivismo non rende un film interessante, ma lo rende meno molesto di un film buonista. Infatti al cattivismo - di cui fu maestro Dino Risi - non si è più abituati, in quanto la televisione, ormai matrice del cinema, ne diffida.
Un gioco da ragazze di Matteo Rovere, presentato al Festival di Roma, è un esempio di come le cattive intenzioni di cattive adolescenti non bastino però a garantire la qualità: mancano infatti al film le doti professionali che la commedia all’italiana invece aveva. Ma questo è almeno un altro tentativo, dopo Come tu mi vuoi, diretto l’anno scorso da Luca Lucini, di mostrare dove porti il consumismo, se non arginato dall’educazione.
Sono le donne a dare il tono di un popolo. Donne belle e ben vestite non affascinano se all’estetica non uniscono un’etica. E l’Italia abbonda ormai di ragazzine tanto attraenti a bocca chiusa e a gambe scostate - postura tipica sulle copertine dei settimanali femminili (!) - quanto deludenti una volta che aprano bocca. Per quel che dicono? Per come lo dicono: in confronto a loro, le popolane della Magnani e della Loren paiono ormai duchesse pre-rivoluzione francese.
Quindi il romanesco italianizzato delle ragazze di Un gioco da ragazze andrebbe bene, se la loro vicenda avesse uno sfondo geografico e familiare coerente. Invece no. Non siamo in una borgata pasoliniana: siamo in ville dal prato all’inglese, ma che non paiono quelle sulla Appia antica. Infatti il film è stato girato a Lucca, ma se ne fa cenno soltanto in fondo ai titoli di coda, dopo i ringraziamenti di rito agli sponsor. E poi c’è il semplicismo dei caratteri. Perché le adolescenti sono cattive (soprattutto la graziosa capobranco, Chiara Chiti)? Perché i genitori le trascurano? Mistero per un’ora di film, quando una di loro smette d’esser cattiva perché diventa povera, per l’improvviso tracollo finanziario di papà.
È la ricchezza, se ne deduce, che la pervertiva. Deciso a redimerne un’altra, un insegnante (il barbuto Filippo Nigro) non capisce in che guai si mette.

Ma non si riesce a patirne per lui. Comunque con Un gioco da ragazze, se non si piange, alle fine si ride: nella polarizzazione dei temperamenti - generoso e ingenuo lui; meschine e sfrontate loro - affiora l’umorismo migliore: quello involontario.

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