Prima visione

Immigrazione clandestina, piaga aperta in Europa da chi ha bisogno di una manodopera di semi-schiavi, cioè anche da chi, magari, finanzia la xenofobia organizzata, per tener bassa la testa degli immigrati anche non clandestini.
Così va il mondo, ma il fenomeno è ancora più desolante in un Paese nato dall’immigrazione, come gli Stati Uniti. Qui i poliziotti sorvegliano chi è arrivato dopo soprattutto per conto di chi è arrivato prima, che teme ulteriore concorrenza. Gli ebrei europei di settant’anni fa se ne accorsero a loro spese.
In Crossing Over (Passare il confine) del regista sudafricano Wayne Kramer, Harrison Ford è un agente della polizia di frontiera di Los Angeles, sensibile - sarà l’età - ai casi dei disgraziati sui quali deve indagare come rei di clandestinità. Nel repertorio di casi umani c’è di tutto: chi è arrivato da tempo e si considerava ormai al sicuro; chi potrebbe vivere a casa sua, ma vuol stare a Los Angeles perché lì si fa il cinema o perché lì si fa musica; chi, studente, ha scritto un tema che un insegnante-delatore ha segnalato come sospetto di simpatia per il terrorismo; chi è pronto anche alle rapine per aver un posto al sole.
Insomma, Crossing Over è un film-mosaico, dove casi lontani e diversi a un certo punto s’intersecano. Lo spettatore che volesse capir tutto dovrebbe prendere appunti. Ma chi va al cinema come si va a scuola? Kramer vuol dire agli xenofobi che la loro paura di chi ha paura, degli immigrati clandestini e non, cioè, è insensata. Ma gli xenofobi, sempre che vadano al cinema, non vanno a vedere i film anti-xenofobi.


Crossing Over si riduce a una versione meno riuscita di Crash e a una più riuscita di Babel, rispettivamente il meglio e il peggio che si possa trarre da questo tipo di cinema, dove lo spettatore deve ricomporre storie di gente di cui non gli importa nulla e che nulla fa per diventare importante, a parte soffrire e far soffrire.
Il cinema come fioretto, dunque, è ancora una volta come modello estetico per i fratelli Weinstein, mandanti del progetto buonista e tristanzuolo. Ma questo, almeno, nessun festival se l'è preso.

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