Esce in quasi mille copie il film che si svolge fra circa centocinquantanni su un altro pianeta. In realtà Avatar di James Cameron parla ben chiaro del presente e del recente passato degli Stati Uniti. È la prima super produzione di Hollywood a giustificare, anzi auspicare la disfatta di Washington nellagone mondiale. A giudicare dagli incassi plebiscitari, negli Stati Uniti lo spirito dell11 settembre 2001 ha fatto il suo tempo, durando meno di un decennio.
Ad attrarre chi non segue la grande politica, ma si trastulla con linquinamento (potendoci fare ancor meno che sulle guerre del suo Paese) è la metafora ecologista particolarmente netta, con limplicito annuncio che Plutarco si sbagliava: il Grande Pan non è morto, dunque. Sera solo assopito. Ora è ben desto ed è questo ad aver esulcerato il recensore dellOsservatore romano.
Avatar non è film da divi. Sam Worthington, il protagonista, prima di venir assunto per il film era solo un bel ragazzo. Messo a recitare da paraplegico, come il personaggio di Nato il quattro di luglio. È paraplegico, nel futuro dove tutti i militari vestono come oggi, non perché la sua ferita sia ancora irrimediabile, come sarebbe oggi, ma perché non può pagarsi le cure. Insomma Cameron non crede nel sistema sanitario avviato da Obama, come non crede nel ritiro delle truppe dai Paesi occupati della Terra.
Il nostro eroe parte dunque come contractor per Pandora grazie alla sua esperienza di veterano, sperando di guadagnarsi le cure, una volta rientrato. Per agire non usa il suo corpo, ma un avatar, che mescola geni umani e geni di pandoriani (di lì la coda). Esplora, esplora, il guerriero che si credeva lavanguardia delle forze del bene scopre che è al servizio delle forze del male. E sinnamora anche, se non altro perché qualche motivo ci devessere per far andare al cinema le donne dai nove ai settantanove anni.
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