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Corea del Sud, Parlamento destituisce il presidente Yoon
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Santiago del Cile, inverno 1973. Il cinquantacinquenne Mario (Alfredo Castro) è un grigio e solitario impiegato dell’obitorio, incaricato di stilare i referti delle autopsie. Fuori si prepara il colpo di Stato di Pinochet e mentre i militati prendono il comando della Moneda, lui s’invaghisce della sfiorita dirimpettaia Nancy (Antoina Zegers), ballerina di cabaret di quart’ordine che scompare misteriosamente l’11 settembre (in Cile è inverno). Quando i militari fanno irruzione nell’abitazione della famiglia di Nancy, Mario apprende dell’arresto del fratello e del padre di lei, esponente del partito comunista e sostenitore di Salvador Allende. E si mette alla ricerca dell’amante mancata. Intanto, a causa di quanto sta avvenendo per le strade di Santiago, all’obitorio i cadaveri si ammassano uno sull’altro. Ora l'esercito ha sequestrato anche l’ospedale, ma a Mario la Storia con la maiuscola interessa niente. Nessun sussulto, nessuna reazione allo scempio che lo circonda: tra i corpi che i camion rovesciano sui tavoli dell’obitorio, illuminati dalla luce lattiginosa dei neon, il funzionario teme di ritrovare quello di Nancy. Ridotto un fantasma, continua a trascinare per plumbei corridoi i carrelli colmi di cadaveri. E se uno di questi scivola a terra, interrompe il suo cammino di morte per issarlo nuovamente sopra gli altri. Ma la sua mente e il suo vagare notturno sono proiettati unicamente al ritrovamento dell’amata. Fino a quando scopre che si è nascosta nella soffitta di casa. Scoperta poco confortante, però, perché non è sola. Mario decide comunque di aiutarla, proteggendo il suo nascondiglio e rifornendola di cibo e sigarette. Ma quando dall’ufficiale militare arriva l’ordine di andare all’ospedale per redigere, sotto dettatura, il verbale della truce autopsia di un cadavere speciale, quello di Salvador Allende, la storia passa dalla macchina per scrivere di questo uomo senza qualità.
Desolazione. Cinismo. Squallore. Post Mortem è un film duro, per stomaci forti davvero, il più cupo del nuovo filone del «cinema dei corpi» - sezionati, violentati, deformati - che si è rivelato alla Mostra di Venezia, dove molti l’avrebbero voluto vincitore.

Molto probabile che in sala, il film del talentoso cileno Pablo Larraìn, nato tre anni dopo il golpe di Pinochet, avrà maggior fortuna di Somewhere di Sofia Coppola. Resta il merito di aver realizzato un’opera sinistra che scuote e documenta il baratro dell’indifferenza di fronte al male.

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