Trecento papillon, cento cappelli («Tutti Borsalino, li porto sempre. Un po' per proteggermi, un po' per vezzo»), duecento donne amate («Tu selezioni molto? Io per niente: ho preso di tutto nella vita, duchesse e commesse, miss e bruttine, anche una teologa, anche una zoppa, anche una balbuziente che ritrovava la parola solo a letto...»), una moglie bellissima («che in un momento di distrazione si è invaghita di me»), una figlia («fa la giornalista...»), tre nipoti («è come avere l'Isis in casa»), quattro case tra Milano, Palermo, Roma e la campagna romana, un formidabile elenco di malattie («ne ho avute tante, ora ne ho ancora di più»), un Himalaya di medicine sparse per la villa («vuoi qualche goccia di Lexotan?»), tre depressioni devastanti («a 23, 34 e 70 anni, in tuttomi hanno portato via dieci anni di vita»), una vita vissuta «in uno stato di inquietudine perenne», sessant'anni di carriera tra quotidiani, settimanali, radio e tv, duemila interviste entrate nella storia del giornalismo, 25mila aforismi usciti dalla sua intelligenza, 52 libri pubblicati e ottant'anni compiuti. Auguri (...)
Hai avuto tanto dalla vita.
«Ma ho dato tutto. Ho voluto fortissimamente il successo, per ambizione e per vanità, però ho pagato fino all'ultimo centesimo. E con la moneta più pesante: la salute. Forse è giusto così. Se dovessi scegliere una religione...».
Ma se sei ateo...
«No. Deista, agnostico, laico, scettico, un po' cinico. Ma non ateo».
Se dovessi scegliere una religione...
«Sceglierei il buddismo. Dalla vita riceviamo tutto ciò che le diamo. Il paradiso non lo so. Ma l'inferno lo scontiamo in terra. Lo sapevano bene il dottor Schweitzer o madre Teresa di Calcutta... Ecco. Tornando indietro, farei il missionario. Ma lo dico oggi, a ottant'anni. Quando ero giovane mi mancava la vocazione.Meglio così. Avrebbe contrastato la mia ambizione».
Se quando si è giovani non si sa cosa fare nella vita, si finisce per fare o il politico o il giornalista. L'hai detto tu.
«Sì, perché sono due dilettantismi. Il giornalismo ha il merito di farti approfondire la superficialità degli altri, la politica il demerito di corrompere la tua onestà». Tu hai scelto il giornalismo. «Io volevo arrivare. E sono arrivato».
Dove?
«All'ultima fase della vita. Nella prima devi guardare avanti. Nella seconda in alto. Poi, a un certo punto, devi guardarti dentro. Io sono arrivato qui».
Sei partito 80 anni fa. Nato a Roma, 9 luglio 1937, sotto il segno del Cancro.
«E dell'improvvisazione».
Hai fatto: cronista, inviato, intervistatore, editorialista, commentatore, conduttore radiofonico e televisivo... Cos'è il giornalismo?
«Quello di ieri era una forte inclinazione, forse addirittura una vocazione. Con un suo codice morale, un'etica civile, un rispetto per il lettore ma anche per il fattorino. Ed eleganza: io andavo in redazione in blazer grigio, dando del lei ai superiori e accettando le critiche. Una missione. Una vita da certosino, come mi aveva detto Indro all'inizio. Scrivere e leggere, leggere e scrivere. Mai fatto parte di un sindacato, mai votato, mai lanciato proclami, mai firmato appelli. Solo i miei pezzi».
E il giornalismo di oggi?
«È diventato un lavoro che tendenzialmente esclude la cultura. I giornalisti di oggi, a parte quelli culturali, non leggono nulla. Un mestiere che ti fa sentire molto più importante di quello che sei in realtà, che tifa guardare continuamente l'orologio, che ti fa cercare ciecamente quel colossale imbroglio che è lo scoop... È un giornalismo che è stato soggiogato alle ideologie. Non nel senso che i giornalisti abbiano delle ideologie, ma nel senso che le hanno sdoganate per fare carriera, perdendo il bene più prezioso: l'indipendenza. Da qui, l'omologazione dei giornali e dei giornalisti. Tutti uguali».
(...)
I tuoi aforismi. Tutti copiati dai peggiori luoghi comuni degli italiani. Quanti nei hai scritti?
«Venticinquemila».
Il più bello?
«L'amore senile comincia col matrimonio».
Hai amato molto?
«Amato-amato, poco. Desiderato tanto».
Cosa desideri, adesso?
«Leggere le uniche cose che vale la pena leggere: Seneca, Ovidio e Voltaire. E scrivere le uniche cose che vale la pena scrivere: i miei articoli di giornale».
Montanelli sognava di morire avvolto nell'edizione straordinaria del giornale. Tu?
«Mi basta quella quotidiana».
Ho fatto una ricerca d'archivio.
La domanda che hai posto più volte ai tuoi intervistati è stata: «Cos'è per lei la morte?». Risposta?«O un ponte o un abisso. Cioè: un passaggio verso qualcosa d'altro oppure un precipizio nel nulla. Spero la prima. Ma temo la seconda».
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