Weinstein, l’americano che fa il pieno di Oscar con i film degli europei

Weinstein, l’americano  che fa il pieno di Oscar con i film degli europei

Alla fine c’è sempre lui dietro quella statuetta di circa 4 chili, alta poco più di 34 centimetri, che viene chiamata affettuosamente «Oscar». È il peso massimo - in tutti i sensi - di Hollywood. L’uomo che nella sua lunga carriera ha ottenuto oltre 300 nomination e condiviso la vittoria di ben 69 statuette. Fino all’altro ieri. Sì perché Harvey Weinstein, 60 anni il 19 marzo prossimo, ha allungato il suo palmarès facendo man bassa delle statuette con i film da lui distribuiti negli Stati Uniti. L’uomo che trasforma i film in Oscar - ovviamente c’era lui dietro gli ultimi e unici riconoscimenti italiani, Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, Mediterraneo di Gabriele Salvatores e La vita è bella di Roberto Benigni - è riuscito nell’impresa quasi impossibile di far vincere l’Oscar al franco-belga The Artist di Michel Hazanavicius nelle categorie principali e più prestigiose: miglior film, miglior regia e migliore attore (Jean Dujardin). Facendo passare quasi in secondo piano anche l’Oscar per la migliore colonna sonora e quello per i costumi. Niente male per un film muto e in bianco e nero (che torna nelle sale italiane da venerdì).
Harvey conosce tutto del mondo del business, soprattutto nel ramo Oscar. È stato il fondatore della Miramax poi acquistata dalla Disney. Ha conosciuto il baratro delle finanze con la sua Weinstein Company ma è sempre risorto. La leggiadria però non si confà al nostro uomo che viene eufemisticamente ritratto - ad esempio sul quotidiano online Lettera43 - come «uno che non riesce a tenere la lingua a posto». Leggendarie infatti le sue litigate. «È considerato un vero incubo - scrive il quotidiano britannico The Guardian - compra film, li disfa, li seppellisce, manda a quel paese i giovani registi e si infuria se non viene citato a dovere». Ne sa qualcosa lo stesso Benigni che dovette sforbiciare il suo La vita è bella (mentre Salvatores non approvò mai gli 11 minuti in meno di Mediterraneo) ma anche il nostro Paolo Sorrentino che - ha scritto Dagospia - pare non abbia voluto accettare alcun taglio per il suo This Must Be the Place. E infatti il film, con uno straordinario Sean Penn, giace congelato da settembre scorso nel listino della Weinstein. E speriamo che non rimanga solo un sogno la corsa agli Oscar 2013 perché il produttore newyorchese sta ottenendo sempre più successi proprio con le opere europee. L’anno scorso fu l’inglese Il discorso del Re di Tom Hooper a vincere quattro Oscar (tra cui film e attore) e anche quest’anno il riconoscimento a Meryl Streep come migliore attrice è andato per la coproduzione franco-britannica di The Iron Lady sempre distribuita da Weinstein. Esattamente come il documentario Undefeated che, non a caso, ha vinto un’altra statuetta.
Bene, bravo, bis? Fino a un certo punto perché, almeno quest’anno, l’Oscar non sembra far rima con incassi. Come ha ben spiegato il sito ScreenWeek.it, se ci si focalizza su The Artist si scopre che negli States in più di due mesi ha incassato «solo» 32 milioni di dollari mentre Il discorso del Re, l’anno scorso, chiuse a quota 135 milioni. Ma più in generale sono un po’ tutti i film favoriti nella corsa agli Oscar a non aver sfondato al botteghino, non solo quello americano. Così i numeri parlano di 7 film su 10, tra quelli candidati a miglior film nel 2011, che negli Stati Uniti avevano fatto registrare incassi al di sopra dei 90 milioni di dollari (cinque sopra i 100). Più deludente la situazione di quest’anno che - tranne il caso di The Help di Tate Taylor giunto a 170 milioni di dollari - vede The Tree of Life di Terrence Malick a 13 milioni, Midnight in Paris di Woody Allen a 56, L’arte di vincere a 75, War Horse di Steven Spielberg e Paradiso amaro di Alexander Payne a 79. Ma i dati evidenziano anche dei veri e propri flop. È il caso di Hugo Cabret di Martin Scorsese che, nonostante il biglietto maggiorato per il 3D, in tre mesi negli Usa non è arrivato a incassare 70 milioni di dollari.

E non saranno i 5 Oscar minori vinti a cambiare la situazione per una megaproduzione il cui costo è stato stimato addirittura in 170 milioni di dollari.
Perché se è vero che gli Oscar un po’ aiutano economicamente, i miracoli ancora non li possono ancora fare.

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