Niente Serie A oltre Manica. A Natale le partite del nostro campionato verranno oscurate in Inghilterra perché l’emittente Bravo, che ha acquistato i diritti dalla compagnia irlandese Setanta, non vuole più saperne di occupare il palinsesto con il calcio italiano visto da poco più di 20mila spettatori a domenica. Un tempo erano 2 milioni. Ma era un’altra Serie A con le sette sorelle che si contendevano lo scudetto, almeno nella prima parte della stagione; una collezione di campioni da far paura; una serie continua di sfide ad alta intensità e così via. Di Moggiopoli si sapeva poco o nulla. Adesso la Juventus è in B e il Milan esiste solo in Europa mentre Fiorentina, Parma e Lazio galleggiano nella seconda parte della classifica. Delle grandi sono rimaste Inter e Roma. Direte che c’è il Palermo in seconda posizione, ma per gli schizzinosi inglesi si tratta di una scheggia impazzita. È finito l’appeal. E i grandi network, quelli che fanno audience in Gran Bretagna, se ne infischiano della Serie A. In gergo pugilistico ci siamo beccati un bel ko con tanti saluti al nostro campionato ritenuto un tempo il più bello del mondo e oggi cacciato in cantina.
È stridente il contrasto con Premier League, Bundesliga e Liga che fatturano milioni di dollari vendendo i diritti all’estero e in particolare svolgono una efficace politica di marketing nel continente asiatico. Cina e Giappone sono considerati i mercati del futuro prossimo. Il nostro calcio continua invece a litigare sulle frattaglie della Coppa Italia (ma quando sarà rivista la formula?) invece di seguire la strategia dei campionati concorrenti. Colpa dei soliti noti, incapaci di fare spazio a manager nuovi, professionali e competenti. Lo scandalo ha assestato un colpo tremendo all’immagine del nostro pallone che, dopo i lussi del passato, non ha più i mezzi per ingaggiare i fuoriclasse degli Anni ’80 e ’90. Allora i migliori guardavano all’Italia come all’America del pallone. Erano i tempi in cui ci godevamo Zico, Falcao, Maradona, Platini, Boniek, Van Basten, Gullit, Rijkaard, Matthaeus, Briegel, Brehme, Batistuta, Zidane, Thuram, Ronaldo, Nedved, eccetera, eccetera. Adesso anche i campioni italiani vanno all’estero.
Sugli spalti il pubblico diminuisce a vista d’occhio. La media delle presenze a gara è in caduta libera: 26.030 nel 2003-’04, 25.330 nel 2004-’05, 22.165 nel 2005-’06, 19.500 in questa prima parte del campionato. Oltre 6.500 gli spettatori persi a partita in tre stagioni. In Germania sono 34mila, in Inghilterra 36mila, in Spagna 41mila: eppure anche da quelle parti esiste la pay-tv. La forbice è micidiale, ci vorranno chissà quali correttivi per recuperare il terreno. Quindi non stupiamoci se la Serie A non fa gola all’estero, i suoi diritti vengono venduti a fatica e i ricavi sono così lievi da non incidere sui bilanci dei nostri club.
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