Politica

Lo spettro dell’entità parallela Tante inchieste mai una prova

Un copione che si ripete sempre uguale: dal famigerato «Piano Solo» nel ’64 alla gogna mediatica sul caso Gladio

da Roma

Evocare il fantasma del «depistaggio», dell’«entità parallela», del «Servizio deviato» è lo sport preferito di chi continua a seguire un abusato sillogismo: io ti accuso di qualcosa ma non trovo le prove che cerco. Così ti accuso di aver nascosto le prove e siccome a forza di indagare continuo a non trovare le prove, allora questa diventa la prova che proprio tu sei quello che ha fatto sparire le prove. E chi mai potrebbe aver interesse a far sparire le prove se non uno che è sicuramente colpevole? Succede così che dopo aver permesso la delegittamazione a mezzo stampa dell’indagato, diventato nel frattempo imputato, lo si processa senza avere le prove per farlo, ma imbastendo una specie di processo «parallelo» nel quale si sostiene che è proprio la mancanza di prove a costituire la prova principale. E più argomenti l’imputato trova a sua discolpa, più lo si accusa di avere amici potenti e misteriosi che lo aiutano a falsificare la realtà.
Supportati da martellanti campagne stampa e da operazioni politiche mirate, i processi del secolo si sono svolti così, al pari di quasi tutte le inchieste sui più svariati «apparati paralleli» che spesso nemmeno il vaglio del dibattimento sono riuscite a ottenere.
La storia dell’ultima «polizia occulta» capeggiata segretamente da colui che addirittura su Internet reclamizza i suoi funambolici progetti, che con i suoi accoliti briga per un tesserino militare, una paletta, un distintinvo, per un finanziamento a tirare a campare, viene raccontata seguendo il solito copione del Grande Vecchio, dei neofascisti cattivi, dei loschi massoni, di schegge impazzite delle forze dell’ordine e degli apparati militari, collegate a spie golpiste, oscuri faccendieri, portaborse del sottobosco politico romano.
Dalle accuse mosse e dai riscontri trovati, Gaetano Saya e la sua casareccia Spectre in realtà sembrano avviati a seguire il destino comune ad altre entità sospettate a forza di voler minare le fondamenta delle istituzioni. È il caso degli alti ufficiali del Sismi, Inzerilli, Invernizzi e Martini, alla gogna per il caso Gladio - di cui si è scritto di tutto riuscendo a far dimissionare persino un presidente della Repubblica - assolti con la formula più ampia da quella stessa procura di Roma che sulla Gladio rossa, quella legata al Kgb e all’Urss, ha invece indagato poco e male, chiedendo rapidamente l’archiviazione.
Di militari e sbirri apparentemente fuori controllo s’è scritto a volontà nel 2001 per un’altra associazione fatta passare per «segreta» con base a Cisterna di Latina: i magistrati hanno incriminato settanta divise che avevano sottoscritto il «Progetto Arianna» finalizzato a combattere la droga nelle caserme, progetto definito «sospetto» anche se al ministero della Difesa persino i vertici politici ne erano a conoscenza: nel maggio 2002 l’inchiesta è stata definitivamente seppellita. Un discorso a parte, ma fino a un certo punto, meritano i fratelli poliziotti della «Uno Bianca», che a differenza di quel che ci è stato sempre fatto credere, stando alla sentenza passata in giudicato hanno agito per conto loro e non per conto terzi. E che dire del colonnello dei carabinieri, Antonio Pappalardo, quello del Cocer inviso al governo D’Alema, che nell’imminenza della controversa approvazione della riforma dell’Arma venne incriminato a mezzo stampa come golpista per un documento interno «sullo stato del morale e del benessere dei cittadini»; anche lui prosciolto dal gip, su richiesta del pm, dall’accusa di istigazione militare a disubbidire alle leggi.
Di presunto golpe in presunto golpe il discorso non cambia per il «famigerato» Piano Solo del 1964 atribuito al generale De Lorenzo, pensato dal Kgb, rilanciato dal settimanale L’Espresso, sfociato nella disintegrazione del Sifar, e solo dopo un mucchio di anni «ridimensionato» da commissioni d’inchiesta e procedimenti penali concordi nell’escludere sia il golpe che il suo ipotetico progetto. Senza commenti anche l’epilogo dell’improbabile colpo di Stato «in rosa» denunciato dalla signora Donatella Di Rosa, amante del generale Monticone a suo dire, capo di una combriccola di soldati rivoluzionari: accuse rivelatesi insussistenti. Assoluzione al processo per il generale, condanna a tre anni per calunnia e autocalunnia con finalità eversive nei confronti di Lady Golpe. Si potrebbe continuare all’infinito con gli esempi a tema.

Basta citarne un paio: dalle suggestive ipotesi investigative sui telefonisti della Falange Armata (inchiesta sul Sismi archiviata) alla rete di carabinieri che nel soffiare notizie riservate contro alcuni imprenditore nemici dell’imprenditore amico Renato D’Andria, è stata ritenuta capace di tutto: di «penetrare nei gangli delle istituzioni ad altissimi livelli» e di riuscire persino a «vendere anabolizzanti e sigarette».

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