Lo spillo: L'Italia del "lodo", ci mancava pure Colozzi

Ormai, in Italia, è diventata una mania. Proporre una legge? Roba antiquata, non è chic. Piuttosto, la norma che si offre all’Aula politica - sia essa parlamentare o degli enti locali - è un «lodo». E siccome di «lodi» ormai c’è l’inflazione, meglio contrassegnarli col nome del proponente, che se l’idea passa il fortunato riesce anche a passare - gioco obbligato di parole - alla storia. L’ultimo arrivato nella grande famiglia dell’antico termine giuridico laudum volgarizzato dall’italico idioma nel più sbrigativo lodo ora così tanto in voga, è il lodo Colozzi, una proposta complicata in materia di fiscalità sul trasporto pubblico.

La «C», in effetti, mancava all’appello. C’era la «A», con l’ormai celebre lodo Alfano; la «S», con l’antenato dello scudo per le alte cariche, il lodo Schifani; e la «M», perché il lodo Schifani prima di diventare lodo Schifani si chiamava lodo Maccanico.

In principio, in verità, c’era pure la «D», perché fu Alcide De Gasperi, con una norma in materia di agricoltura, a dare il «la» all’Italia dei lodi. Ora il neo-arrivato Colozzi, assessore alle Finanze lombardo, autore del lodo con la «C». Per completare l’alfabeto mancano un bel po’ di lettere. Avanti i prossimi...

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