Politica

Spiopoli fa "flop": "Non c'è violazione della privacy"

Gianmarco Chiocci e Gianluigi Nuzzi
Altro che spionaggio informatico ad opera di una Spectre anti-Prodi. Una dopo l’altra, le inchieste sui 127 accessi abusivi denunciati nel settembre scorso dal viceministro Vincenzo Visco in danno del premier e della sua consorte (oltre a tanti altri esponenti politici, gente dello spettacolo, calciatori come Francesco Totti) convergono in massa verso l’archiviazione. L’ultima è degli inizi di aprile. A richiederla è stata la procura di Trento che con il pubblico ministero Stefano Dragone ha sollecitato la chiusura definitiva delle indagini riguardo una decina di incursioni riscontrate in Alto Adige non rilevando alcun tipo di reato né una violazione della privacy. Archiviazione, dunque, perché i dati oggetto di attenzioni «non erano segreti» e non sarebbero stati divulgati dai dipendenti. Rispetto alle inquietanti ipotesi iniziali, i riscontri effettuati dagli inquirenti sugli accessi effettuati da più uffici dell’Agenzia delle Entrate sembrano andare nella direzione di una complessiva operazione voyeuristica da parte di singoli impiegati curiosi di conoscere la situazione patrimoniale di Romano Prodi, di sua moglie, dei parenti più prossimi e di molti altri personaggi famosi.

A Trento più persone sono state ascoltate in procura (mai nessuno nelle vesti di indagato) nell’ambito di uno stralcio inviato dal pm milanese Francesco Prete che già da mesi svolgeva accertamenti su chi aveva dimostrato di nutrire un certo interesse sui redditi del premier e sulle sue «donazioni». Tutti si sono difesi spiegando o che si trattava di semplice curiosità o che essendo le postazioni utilizzati da più utenti era per loro impossibile stabilire chi avesse richiesto informazioni riservate. A fare da apripista nelle richiesta di archiviazione sugli «hackers» dell’Agenzia delle Entrate era stata la procura di Bolzano che il 22 gennaio si era affrettata a tirare fuori dai guai due impiegati, M.O. e A.L, entrati con le loro password nel sistema informatico dell’Anagrafe Tributaria per spulciare i dati anagrafici e la dichiarazione dei redditi del premier. Secondo il pm Guido Rispoli la circostanza che i due impiegati abbiano utilizzato una propria, riconoscibile, «chiave d’accesso» cozza violentemente contro l’ipotesi di reato dell’accesso «abusivo» in un sistema protetto da misure di sicurezza.

«A loro carico - scrive il Pm - sarà pertanto ipotizzabile una responsabilità di natura disciplinare per avere effettuato degli accessi esulanti i propri incarichi di ufficio, ma non di natura penale». Lo stesso Visco, rimarca il magistrato, nel suo esposto del 27 settembre 2006 «ammette di non aver considerato le interrogazioni limitate ai dati anagrafici e alle dichiarazioni dei redditi» in quanto «ancorché disdicevoli, possono considerarsi manifestazioni di semplice curiosità».

E se lo confessa Visco, nessuna sorpresa se un riscontro certificato arriva adesso dall’autorità giudiziaria.

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