Spiriti liberi, italianissimi (anti)italiani, fuori dai canoni e dai ranghi intellettuali, tendenzialmente solitari, orgogliosamente individualisti, «anti» tutto, o quasi: anticonformisti, antiborghesi, antisistema. Sono gli intellettuali - compagni di viaggio e di solitudine del Guido Keller ritratto da Stenio Solinas in queste pagine - che appartengono, per azione e pensiero, a quella «immaginaria» e a-temporale componente idealista e ghibellina, orgogliosamente minoritaria, che nella nostra storia ha (...)
(...) duellato, perdendo con onore e molta indifferenza per le proprie sorti («Me ne frego!»), contro il «guelfismo municipale e democratico italiano» - citiamo sempre Stenio Solinas - cioè quell'«Italia savia e con i piedi per terra, l'Italia di oggi ovvero l'Italia di sempre, priva di speranze perché incapace di sognare».
Disallineati, irriducibili, a loro modo eroici, indisciplinati, eccessivi, inclassificabili: sono gli intellettuali che hanno scelto di stare dalla parte sbagliata e di fare della propria vita un'opera d'arte, in modi e tempi diversi, ma con identica inclinazione. Quella di avere un appetito da ricchi in un corpo - l'Italia che li ha messi ai margini - da morti di fame. Come Amedeo Guillet, morto da noi quasi sconosciuto (in Gran Bretagna è una celebrità) nel giungo 2010, a 101 anni: attraversò indenne tre guerre, l'Abissinia, la guerra civile di Spagna e il Secondo conflitto mondiale, e fu uno degli ultimi soldati italiani a deporre le armi in Africa Orientale, quando ormai il sogno dell'Impero fascista era stato stritolato sotto i cingoli dei carri armati inglesi. Di fatto, dopo la sconfitta dell'esercito italiano in Africa, decise di continuare a combattere da solo. «Se, invece dell'Italia, avesse avuto alle spalle l'impero inglese, sarebbe diventato un secondo Lawrence d'Arabia» scrisse di lui Indro Montanelli. Oppure, come lo stesso Giovanni Comisso, gemello diverso di Guido Keller, uno dei nostri scrittori più eretici e erranti, da Fiume al secondo dopoguerra, di cui non condivise né il comunismo né l'estetica neorealista, e si trovò ideologicamente e culturalmente isolato. O come lo stesso Mario Sironi, la cui inclinazione verso un'arte monumentale lo portò a ricostruire, in pittura, la grandezza di Roma e dell'Italia, e che da noi rimane un pittore malinconico, e se fosse vissuto in un'altra nazione sarebbe un gigante del Novecento. O come Curzio Malaparte, che toccò gli estremi del fascismo e del maoismo, trovando il punto di equilibrio nel suo genio, unico, e comunque resta più apprezzato fuori dai confini nazionali, a partire dalla Francia, che da noi... Ma la storia parte da lontano, non ha specifiche politiche: ghibellini sono i Benvenuto Cellini, i Caravaggio, i Giacomo Casanova - condannato da Venezia a vagare ramingo per il mondo, considerato un uomo di pensiero e di cultura in tutta Europa ma poco più di un erotomane nella sua città - fino a Foscolo, spirito intransigente e tormentato, tutto tranne che «poeta cortigiano», il quale credeva così tanto alle sue radici da esiliarsi a Londra.
Eccoli... Ghibellini nello spirito che hanno come padre nobile Niccolò Machiavelli e come loro antagonista Baldassarre Castiglione. Antitetici ai cortigiani, ai «diplomatici», gli opportunisti, i voltagabbana, i trasformisti di cui è piena la storia intellettuale del Paese, sanno che l'Italia guelfa - democratica, accondiscendente, arrendevole, salottiera, cortigiana, provincialmente esterofila, veltroniana - ha invece torto perché si astrae dalla Storia per quieto vivere, condannando il Paese alla decadenza.
E preferiscono - pur sconfitti dalla gloria, dalle cariche, dai denari - restare se stessi, piuttosto che divenire intellettuali al servizio di potenti corrotti ed egocentrici. O peggio, rischiare di divenire potenti essi stessi.Luigi Mascheroni
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