Cultura e Spettacoli

La splendida KIKI regina di Montparnasse

nostro inviato a Parigi
Quanti ricordi della sua vita scrisse Kiki di Montparnasse? Si conoscevano quelli del 1929, i celebri Souvenirs, e i coevi Kiki’s Memoirs che non sono una semplice traduzione in inglese, ma un ampliamento e in qualche caso un rifacimento... Allora Kiki era, per dirla con le parole di Ernest Hemingway che di quelle memorie fu il prefatore, «la regina di Montparnasse più di quanto la regina Vittoria lo fosse nell’età vittoriana», non aveva trent’anni e le sue natiche voluttuose erano state immortalate in una foto di Man Ray come fossero il Violoncello di Ingres.
Una ventina d’anni dopo, quando il regno è ormai scomparso e la regina ha dovuto abdicare per eccesso di peso, problemi di alcol e di droga e mancanza di sudditi, il quotidiano Ici Paris pubblica in tre puntate «Kiki vous parle sans pose», dove l’autobiografia si illumina di nuovi dettagli e si fa più amara. È malata Kiki, e di lì a poco morirà, a 52 anni appena, ma quelle confessioni a mezzo stampa non sono altro che alcuni estratti di ciò che alla vigilia della seconda guerra mondiale Kiki ha ancora una volta messo su carta, accompagnando il testo con fotografie e disegni. È un materiale che per mezzo secolo resterà nascosto e dimenticato, quei Souvenirs retrouvés apparsi in Francia due anni fa e che ora l’editore Excelsior 1881 pubblica in italiano con il titolo Infinitamente prezioso (pagg. 212, euro 16,50) come recitava il cartoncino che li sigillava.
Pittrice, modella, cantante, attrice, ballerina, Kiki aveva un volto da gatta e un corpo da odalisca, un’adolescenza da operaia e una immaginazione da artista. «A tredici anni, quando vedevo un uomo con una bella barba sciorinata su una cravatta Lavallière, il cuore prendeva a battermi molto in fretta! Non poteva essere che un poeta, un pittore o un teatrante. Al di fuori di queste tre professioni, non ne ammettevo nessun’altra!». Fu l’amante e l’ispiratrice di Man Ray e di Möise Kisling, posò per Foujita, Per Krohg, Maurice Mendjisky e Alexander Calder, fu l’interprete di Ballet mécanique di Férdinand Leger e la vedette del Jockey e di Le Boeuf sur le toit, l’unica cantante con cui la giovane Edith Piaf temesse il confronto. Non aveva repertorio e neppure memoria, ma incantava lo stesso, voce ora rauca e ora piena, occhi grandi, una bocca come una ferita, il naso a punta, le sopracciglia dipinte a seconda del colore degli abiti: viola, verdi, gialle, blu... La prima volta che Man Ray cercò di fotografarla nuda, si rifiutò, le sembrava una cosa da borghesi un po’ viziosi: «Ma Kiki, le mie foto sono come dei quadri, dipingo con l’obbiettivo». E lei allora si spogliò.
Per capire cosa fosse e come fosse il suo regno, basta venire qui al numero 21 di rue de Maine, dove il Musée de Montparnasse, che ha sede nell’atelier-cantina degli Artisti che fu di Marie Vassilieff, ospita sino a fine gennaio la mostra «Les Heurs chaudes de Montparnasse», più di duemila fra quadri, sculture, disegni, affiches, documenti, accompagnati da quattordici filmati che ne ripercorrono la storia attraverso le testimonianze di Miró e Brassaï, Prévert e Cocteau, Barrault e Vailland, Tzara e Aragon, Duchamps e Archipenko, Giacometti... Kiki è la più ritratta, Kiki è la più citata, Kiki è la più amata. «Era una ragazza straordinaria, bella, pura, sì, pura! Un’artista, non aveva mai una lira, se diceva che aveva bisogno dei soldi per pagare l’affitto, tutti facevano a gara. Allora era così».
Nelle parole di Therèse Treize, che le fu amica e complice, c’è il ritratto di un mondo. I caffè e i locali di Montparnasse devono la loro animazione al fatto che gli studi dei pittori erano troppo freddi e quando faceva buio, e non si poteva più dipingere, bisognava cercare un posto riparato dove stare... Quando Soutine ospita una Kiki rimasta senza alloggio, per scaldare la stanza fa a pezzi i mobili e li butta nel camino! Gli artisti non ci tengono a diventare ricchi, e la loro idea dell’arte è che debba essere invendibile, oppure che la si debba regalare. Quando e se si vende, è per necessità e si spende subito il ricavato in cene e feste. Ancora Soutine fa scegliere a un amico fra due dipinti e la scelta cade sulla tela che il pittore ritiene la più brutta. Tornato a casa distrugge quella bella superstite.
C’è chi usa i quadri come merce di scambio e chi decora gratis i locali perché tanto sa che non gli verrà mai negato un piatto caldo. Libion, il proprietario della Rotonde, viene invitato da alcuni pittori a festeggiare. Finiscono tutti da Modigliani, e Libion si accorge che dai tavolini alle sedie, alle posate, è tutta roba del suo locale che nel tempo il pittore ha trafugato. Si alza e se ne va, mentre Modigliani inveisce: «Coglioni, non mi avevate detto che c’era anche lui. Gli voglio bene, certo, ma che figura ci faccio?». Dopo un po’ Libion ritorna, zoppicando, carico di bottiglie. «A casa tua solo il vino non era mio, così sono andato a prenderlo».
Soprannominata «la gazzella per i miei occhi e il mio collo che pare non finire mai» Kiki ha la sua prima personale nel 1927, alla galleria Sacre du Printemps. Ha uno stile naïf, paesaggi e ritratti. Il vernissage dura dalle cinque del pomeriggio a mezzanotte. Due anni dopo, al Bobino di rue de la Gaîté, c’è una matinée di beneficenza per gli artisti. Pascin disegna il programma, Foujita si esibisce come clown, le Montparnasse Girls e Therèse Treize fanno un numero di cancan, Marie Vassilieff di danze russe tradizionali. Kiki questa volta è in veste di cantante ed è allora che viene eletta, a furor di pubblico, «Regina di Montparnasse». La fotografano, carnale e sensuale, con una rosa fra i denti. Diventerà una cartolina, se ne venderanno più di 100mila esemplari.
È un mondo semplice, di gusti semplici. Non c’è prostituzione, perché c’è molta libertà sessuale e non si deve pagare per avere ciò che si può avere gratis, per amore, per simpatia, per divertimento, per noia. Non c’è criminalità, perché non girano soldi e non sono i soldi a far girare la vita. È tutto molto eccentrico, è tutto molto tollerato. «Si rideva, dio mio come si rideva» racconterà un testimone del tempo a un giornalista di Life, il settimanale americano che nel 1953 dedicherà tre pagine alla morte di Kiki. Kiki è quella che quando il mercante d’arte Julien Levy declina la sua offerta di passare la notte insieme, gli risponde: «Tu n’est pas un homme, mais un hommelette!». Era allegra e disinibita, quando ballava sulla scena non indossava biancheria intima, si tingeva il pube con una matita nera perché non aveva peli e un po’ se ne vergognava...
L’esposizione «Les Heures chaudes de Montparnasse» dedica una stanza a parte al bulgaro Pascin, il più dimenticato e oggi il più rivalutato, grande amico di Kiki, gran signore e grande anima tormentata. A Parigi Pascin ha ritrovato una sua vecchia fiamma, Lucy Vidil, ora moglie del pittore norvegese Per Krohg. Non l’ha dimenticata, non può dimenticarla. È ricco di suo, Pascin, è generoso ed è infelice perché Lucy lo illude e poi lo delude, ci sta e poi scompare. Si uccide Pascin, e Kiki ne racconta la morte in poche, drammatiche righe. «Con una lama di rasoio si è tagliato le vene del polso e, poiché gli pareva che la morte non arrivasse abbastanza in fretta, dopo aver scritto sui muri con il proprio sangue Adieu Lucy, ha deciso di darsi il colpo di grazia stringendosi una corda intorno al collo».
È il giugno del 1930, al funerale partecipa tutta Montparnasse e anche tutta Montmartre, il nord e il sud di Parigi uniti nel lutto, le gallerie cittadine chiudono e la sensazione è che con quella cerimonia funebre in fondo si chiuda un’epoca. Kiki ne è consapevole. L’uomo con cui ora sta ha l’Alzheimer, lei arriva a pesare ottanta chili, si droga, beve molto... Alla fine del decennio è la caricatura di ciò che è stata, ma tiene duro, supera la guerra e il dopoguerra, intanto però è cambiato tutto, e anche la nostalgia non è più quella di un tempo.

Bonne nuit, Kiki.

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