La storia può attendere, meglio non scomodarla. Si occupa la cronaca di archiviare l'ottavo di finale di Champions con un risultato netto che più netto non si può. 4 a 1 per l'Atletico e milanisti tutti a casa. A riflettere su errori e omissioni, sui ritardi di condizione (Essien) e su qualche tradimento clamoroso (Balotelli) che non possono non lasciare un segno, una scia. Anche sulle decisioni del prossimo mercato. Nella notte più importante e attesa, l'ultimo dei rossoneri ad arrendersi è Riccardino Kakà, autore del sigillo che ha ricacciato tra gli incubi il Calderon, che manca addirittura il raddoppio per questione di centimetri prima di suggerire una palla-gol a Robinho finita contro la traversa. Con il capitano della serata, un altro giovanotto da salvare e segnalare: Poli. Si può pensare di vivere una serata storica avendo solo due giocatori col cuore oltre l'ostacolo? La risposta è scontata: no, assolutamente no. Troppo poco Milan per sperare in uno storico ribaltone: anche il gioco, visto e osannato in un paio di circostanze, è diventato un neon fulminato, si accende e si spegne, senza continuità.
L'Atletico invece può andare in crisi per 20 minuti ma poi recupera la bussola e passa ai quarti senza sudare, anzi con una marcia trionfale. Facilissimo l'accesso al gol: recuperando palla, oppure grazie a una deviazione, con una punizione o infine dopo un dribbling di Diego Costa, il simbolo autentico di questa squadra, 29 gol in stagione, una media degna di Ibrahimovic.
L'Atletico apre e chiude la prima frazione dopo il grande spavento procurato da Kakà. Non deve fare granchè la squadra di Simeone per mettere Abbiati allo spiedo, basta vincere un contrasto nemmeno irresistibile su Essien piedi d'argilla, per costruire la trama elementare che consente a Diego Costa, in spaccata, di seminare Rami e trafiggere il portiere deviando con la punta del piede. Può essere una ferita mortale che mette in ginocchio il Milan, capace invece di rimettersi in marcia verso un improbabile riscatto. Balotelli sbaglia uno-due-tre giocate in sequenza, perde le staffe e invece di prendersela con sé stesso, battibecca con l'arbitro prendendosi l'inevitabile giallo. Nemmeno Taarabt indovina i dribbling sui quali si ostina a puntare. Ma c'è sempre Kakà su cui puntare e c'è quel Poli, pieno di buona volontà e di corsa, che certificano la breve resurrezione rossonera: uno raccoglie l'invito di Balotelli e lo scodella sul secondo palo dove Kakà, di testa, con deviazione, rimette in discussione il risultato.
Ma dura poco, 20 minuti appena, l'orgoglioso ritorno in scena del Milan, c'è solo il tempo per prendere nota del colpo di testa di Kakà (sfiorata la traversa) prima di riascoltare il ruggito del Calderon. È merito di un turco barbuto, Turan, che dal limite trova la deviazione di Rami per confezionare una traiettoria velenosa che lascia di stucco Abbiati. Tutto da rifare, a quel punto. Col contributo di Robinho, rimpiazzo inevitabile dello spento Taarabt.
Una volta si fa sorprendere l'Atletico, non due. Simeone è tarantolato, rimette al posto giusto le sue pedine durante l'intervallo e così può evitarsi altre paure e andare incontro alla qualificazione a braccia alzate. Perché a metà della seconda frazione, la solita discutibile organizzazione difensiva milanista regala a Garcia (saltato tra De Jong e Rami) la possibilità di girare nell'angolo una punizione (Abbiati abbozza l'uscita e poi si ferma per strada). Seedorf gioca la seconda carta a disposizione, Pazzini (fuori il lento e impacciato Essien) prima di prendere i colpi del ko umiliante e di cogliere con Robinho (delizioso l'assist di Kakà) l'ennesima traversa (tre i legni scolpiti dai rossoneri in 180 minuti). Ma è consolazione di nessun conto rispetto al verdetto inappellabile di ieri sera.
Non è una sconfitta ma una batosta che mette in discussione anche i progetti tattici del futuro. Il Milan è fuori dalla Champions e chissà quando mai riuscirà a rimetterci piede. Forse è proprio questo il maggior tormento dei milanisti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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