L'uomo della svolta che odia i compromessi

Basta cambusa. Dopo i cordiandoli, l'impegno vero

L'uomo della svolta che odia i compromessi

Nell'estate del 2011 Antonio Conte raccolse le macerie della Juventus e ricostruì dalle fondamenta una squadra e uno spogliatoio, arrivando a conquistare tre titoli italiani consecutivi. Tre anni dopo Antonio Conte viene chiamato a raccogliere le macerie della nazionale italiana reduce da due mondiali mortificanti (con due allenatori diversi) e da un europeo comunque dignitoso, anch'esso conclusosi, per le proporzioni del risultato, in modo avvilente. Ci potrebbero essere delle analogie ma così non è, per chi conosce Antonio Conte e per chi conosce il calcio italiano, quello dei club. Di sicuro il professionista leccese non è cambiato rispetto a un mese fa, quando si separò consensualmente dalla Juventus. Allora i soliti noti scrissero e le solite note dissero che Conte era stressato, sfinito, sfiancato, a disagio psicologico e in evidente difficoltà per sopportare il peso di un'altra stagione ad alto livello. Un mese dopo, i e le docenti sono al mare o hanno scelto il silenzio, per codardia eppure tutti, o quasi, hanno indicato in Conte l'uomo della svolta per la nazionale italiana. Sulla cialtroneria del settore stampa e cortigiani vari nessuna novità dal fronte. Oggi si discute anche sul salario che percepirà l'allenatore in azzurro, oltre tre milioni di euro, una vergogna (sostantivo di grandissima moda in un mondo di svergognati) dimenticando un piccolo particolare, il titolo 1 all'articolo 1 dello statuto federale recita: «La federazione italiana giuoco calcio è una associazione riconosciuta con personalità giuridica di diritto privato», questo dovrebbe servire per comprendere la forma e la sostanza del dibattito.

Procedo. Dopo il mondiale di Italia '90 la federcalcio decise di abbandonare il protocollo degli allenatori fatti in casa e assunse Arrigo Sacchi, il cui ingaggio fu, giustamente, tre volte superiore a quello del predecessore. Questo imponeva il momento, dopo il flop mondiale e questo il mercato, per un professionista assoluto. Le anime candide che oggi urlano alla vergogna del soldo federale non sanno che la stessa federazione gestisce multimilioni e che proprio la nazionale è il traino per sponsor e affini, compresi i diritti televisivi. Antonio Conte sta al nostro calcio, almeno in questo momento, come Josè Mourinho al resto della comitiva internazionale. Come il portoghese seppe commissariare l'Inter, così Conte ha saputo fare con la Juventus e oggi, a differenza di Mourinho che ha rifiutato tre offerte, prima dall'Inghilterra, poi dal Portogallo e infine dal Brasile, ha scelto di provare questa avventura, una stazione importantissima che potrà e dovrà dare quella luce internazionale che gli è mancata con la Juventus nelle coppe. Conoscendo il carattere di Antonio Conte posso prevedere che l'impresa sarà ardua, non è uomo da compromessi, per lui un campione è tale se da campione sa comportarsi sempre, per i compagni più che per se stesso. Il problema di Conte non sarà quello di gestire Balotelli o Verratti ma pilotare il resto della comitiva Italia, con i suoi colleghi allenatori e con i dirigenti in testa al corteo dei manifestanti, oltre al rettilario di via Allegri e dintorni.

Conte intende lavorare sette giorni su sette e non presentarsi allo stadio, alla domenica, per farsi riconoscere dalla stampa. Conte dovrà relazionarsi ai suoi colleghi nazionali e internazionali e in tal senso sarà doveroso ricucire il rapporto con Fabio Capello, un legame intossicato da un'uscita maleducata e irriverente di Conte nei confronti del tecnico bisiaco. Non sono dettagli ma è la strada che Conte e il suo staff (a Torino sono felici di risparmiare 1 milione e mezzo di euro ma contrariati per il nuovo impegno dell'ex dipendente) dovranno affrontare e, soprattutto seguire. La nazionale è di tutti ma nel senso buono e non certo come qualcuno, tra i calciatori, l'ha intesa in Brasile. Fine di allegri banchetti, di alberghi e aerei aperti a moglie, fidanzate e badanti, fine di cambusa appresso, pasta, formaggi, sughi, vini, roba da terzo mondo, non da quattro mondiali.

Non sarà facile vederlo in azione una volta ogni tanto ma c'è un europeo che lo aspetta, c'è una squadra che ha voglia di capire se e chi ha sbagliato in Brasile. C'è una città, Bari, che il 4 di settembre ospiterà la prima partita della nuova Italia contro l'Olanda di Hiddink e aspetta il “suo” allenatore che nel maggio del 2009 venne portato in trionfo per la promozione in serie A.

Prevedo il San Nicola esaurito e un tifo azzurro che ha dimenticato l'Uruguay e Godin. Con Prandelli, Zaccheroni e Mancini sarebbe stata più dura. Dopo i coriandoli, sarà l'ora dell'impegno vero. In attesa che Carlo Tavecchio sconti la sua sciocca pena.

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