Il 17enne inizia la storia nel segno di papà Michael

Davide Pisoni

C'è un filo rosso che lega la Germania, l'Italia e la Svizzera. Kerpen, il raggio di un paio d'ore attorno a Maranello e una villa di Gland. Lo ha riallacciato, quel filo rosso, Mick Schumacher, figlio d'arte di Michael, vincendo ieri all'esordio entrambe le gare nel campionato italiano di Formula 4. Quel filo si era spezzato un giorno di fine dicembre di tre anni fa. La caduta sulle nevi di Meribel, il dramma di Schumi papà consumato davanti agli occhi di Schumi figlio. Che aveva già deciso di ripercorrere le orme in pista del sette volte campione del mondo di Formula 1. E che la prima volta del diciassettenne Mick in Italia fosse una vittoria era già scritto. D'altra parte Michael i primi punti in F1 li aveva presi con la Jordan a Monza, che da Maranello dista un paio d'ore così come quella Misano dove ieri uno Schumacher è tornato sul gradino più alto del podio. Due volte.

È la dolce condanna di un figlio d'arte: ogni successo, ogni errore lo riporteranno al confronto con papà. Inevitabile. Questo è solo il primo capitolo di una storia che potrà avere solo due finali: Mick come Michael, oppure il rampollo che non è stato all'altezza del re. Mamma Corinne lo ha protetto, ma quando ha capito che il momento dei paragoni era ormai inevitabile, ha messo la carriera del figlio nelle mani di una sorta di seconda madre professionale. Quella Sabine Kehm che di Schumi papà è stata la manager.

E il filo rosso si è riallacciato. La visita a Maranello lo scorso novembre, l'arrivo in un team italiano, Prema, che nella sua storia vanta una collaborazione con il Cavallino. E ora c'è, in qualità di consulente, quel Luca Baldisserri, che di Schumi fu l'ingegnere. Rossa la Ferrari, rossa la Prema.

L'aggressività al via di Mick nella gara 1 di ieri, ha ricordato quella di Michael. Il sorpasso all'esterno decisivo dopo quattro giri, uno dei tanti capolavori di papà. La sicurezza in gara 2 sull'acqua, dopo essere scattato in pole dietro la safety car, una cosa già vista. Il dna non tradisce.

La dedica è stata per il team, quella per il papà l'è tenuta nel profondo del cuore insieme al dolore di questi anni. All'insegna di quel muro della privacy, eretto dalla famiglia. Che ora per tenere viva la speranza può aggrapparsi anche al filo rosso.

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