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"Abbiamo portato l'Italia tra le grandi del rugby. Ma si poteva fare di più"

Parla Giovanelli, capitano della storica vittoria in Francia che vent'anni fa ci proiettò nel torneo

"Abbiamo portato l'Italia tra le grandi del rugby. Ma si poteva fare di più"

Roma - Diciotto anni di Sei Nazioni e quasi 20 da Grenoble. Era il 22 marzo del 1997 quando gli azzurri di Georges Coste batterono la Francia allo stadio Lesdiguières. Quella vittoria fece la storia. Da allora l'Italia del rugby diventò grande fino ad aprire le porte del torneo più prestigioso del mondo ovale. Venti anni dopo, Grenoble resta il nostro monumento, imprescindibile punto di partenza per capire dove il rugby italiano è arrivato. Di quella squadra, Massimo Giovanelli era il capitano. Oggi fa l'architetto ma il rugby gli è rimasto nel sangue con tutte le cicatrici che porta con sé. «Che l'Italia sia migliorata da allora non ci sono dubbi. - dice Quella vittoria è stata l'ultima spallata a un sistema. Tutto sta a capire se il movimento sia riuscito a capitalizzare quella vittoria. Io credo di no. L'Italia ha sempre avuto grandi difficoltà a gestire i cambi generazionali. Da un lato abbiamo dimenticato i tanti talenti che sono passati per la maglia azzurra, dall'altro non siamo andati in profondità nella ricerca di nuovi volti in grado di mantenere alta nel tempo la nostra competitività. E poi abbiamo perso tanto, troppo tempo».

Il progetto di quella squadra era quello di costruire un mondo intorno ai giocatori. Il mondo era fatto di preparazione fisica, di attitudine mentale, di presenza. «Coste aveva capito che senza preparazione fisica non si andava da nessuna parte. E aveva capito che la difesa era il pilastro principale dell'edificio. Ci abbiamo lavorato costruendo un giocatore che era pienamente consapevole di quello che andava a fare in campo». Marcello e Massimo Cuttitta, Franco Properzi, Diego Dominguez e Paolo Vaccari erano le tessere di un mosaico perfetto. A Grenoble erano arrivati mandando a memoria tutti i segreti di una Francia che aveva appena conquistato il Grande Slam. Villepreux e Skrela temevano il trappolone. E avevano le loro ragioni. «Oggi O'Shea è un allenatore che somiglia molto al coach operaio di allora. - osserva il Giova Non ti dice che in due anni l'Italia vincerà il Sei Nazioni come aveva fatto Kirwan. Ti chiede 400 minuti di intensità, limita l'obiettivo sapendo che per ottenere questo la strada passa per la preparazione fisica e per la consapevolezza di quello che ogni giocatore deve mettere sul campo, placcaggio dopo placcaggio».

Prima di Grenoble, gli azzurri batterono a domicilio anche l'Irlanda dimostrando agli occhi del mondo che la vittoria in terra di Francia non era solo un episodio. «Nel nostro piccolo un minimo di continuità riuscimmo ad averla. Oggi questo è un nostro limite. Battiamo il Sudafrica e sette giorni dopo riusciamo a perdere con le Isole Tonga. Questo è il risultato di un sistema che non ha fame, che si accontenta. Sono convinto che l'Italia abbia tutte le potenzialità per ripetere l'exploit del 1997. Il valore di un movimento non si misura solo con il numero dei tesserati.

Occorre cercare i talenti e purtroppo da noi questo si fa ancora troppo poco».

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