La burrasca del Cantabrico ha finito si soffiare nell'aria di Madrid. Francisco Gento Lopez ha lasciato questo mondo all'età bella di anni ottantotto, benedetto dal popolo che ama il football, da chi, non soltanto i tifosi del Real Madrid, con lui ha potuto vivere un'epoca meravigliosa. Gento indossava la camiseta blanca con il numero 11, era ala sinistra, veloce come una saetta, tempestosa la sua corsa conclusa spesso con un sinistro che era una cannonata o stangata come si usava dire al tempo. Santiago Bernabeu, presidente, lo pagò un milione e mezzo di pesetas al Racing di Santander che chiese in cambio anche due calciatori, Espina e Urcelay. Bernabeu non voleva cedere il primo, Alfredo Di Stefano si presentò al proprio presidente dicendo: «Espina non è nessuno, questo ragazzo Paco è un fenomeno». Così fu, sei coppe dei Campioni, record unico al mondo, una carriera lunga diciotto anni, seicento partite e centottantadue gol, interrotta da una telefonata del vicepresidente Laporta che gli comunicò che era arrivato il momento di essere utile alle giovanili. Francisco Gento faceva parte di quel quintetto d'attacco che vado ad elencare, Raymond Kopa, Hector Rial, Alfredo Di Stefano, Ferenc Puskas e Francisco Gento. Trattasi di leggenda ma verissima, la casa bianca del football vinceva dovunque con uno stile elegante e potente. Angelo Moratti cercò di portare a Milano uno dei cinque, Gento era il preferito, Bernabeu rifiutò l'offerta, Helenio Herrera convinse il presidente a dirottare su Luis Suarez.
Fransisco Gento segnò il suo ultimo gol con la maglietta del Real Madrid in una partita in suo onore, il 14 dicembre del 1972, contro l'Os Belenenses. Al minuto 15 Gento tiro e segnò un rigore. In porta per i portoghesi c'era un uomo di nome Felix, di cognome Mourinho. Padre di Josè. Le storie del calcio conservano magie eterne.
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