Cesarone si è arreso dopo l'ultimo, coraggioso combattimento. Cesarone Maldini si è arreso ieri, nel giorno santificato al calcio, che è stato il suo sport, la sua passione e anche la sua straordinaria storia. Legata in modo indissolubile a due bandiere: una, quella del Milan, sventolata da capitano nel tempio di Wembley per la prima coppa dei Campioni conquistata da un club italiano, primavera del '63; l'altra, quella da ct pane e salame, per segnalarne semplicità e genuinità. Cesare Maldini è stato lo straordinario ponte sospeso tra due epoche, tra il calcio romantico e anche un po' naif di Nereo Rocco e del primo Rivera e quello più rude, tattico e dinamico dell'era moderna, mostrando l'eclettismo tipico del leader. Ha cavalcato con eleganza unica e stile da gentiluomo 70 anni di calcio, cambiando ruolo ogni venti anni, senza mai accusare una incertezza o anche un semplice disagio rispetto all'evoluzione dello sport, dei rapporti e anche dei costumi. Anzi facendosi trovare preparato dai grandi cambiamenti. Giunto da Trieste a Milano a metà degli anni Cinquanta, ha messo in cantiere una numerosa famiglia (sei figli, tre maschi e tre femmine) che gli hanno garantito una suggestiva successione. Pensate al figlio Paolo, Paolino per Cesarone, capitano del Milan di Ancelotti che nel 2003, sempre in Inghilterra, ma a Manchester questa volta, riuscì ad alzare la Champions league per dare lustro e continuità a una generazione di fenomeni. Che Cesarone avesse il dna dell'allenatore, lo intuirono proprio a Wembley, quando fu lui, in combutta con Trapattoni, a modificare la marcatura di Eusebio che stava facendo vedere i sorci verdi alla difesa milanista. E appena venne il tempo di accomodarsi in panchina, spuntarono le grandi virtù di condottiero saggio e spiritoso, capace con una battuta di spegnere un fuoco polemico.
Nel ruolo delicatissimo di vice-Bearzot durante lo strepitoso mondiale di Spagna fu il decisivo uomo di campo, incaricato di una preparazione fisica prodigiosa. E ancora più avanti, quando gli affidarono la cura dell'under 21, realizzò un record difficile da battere, tre successi continentali in altrettante edizioni ('92, '94, '96) a dimostrazione di occhi svegli, anzi spalancati, capaci di scegliere il meglio del vivaio del calcio italiano. Quando Sacchi lasciò all'improvviso lo scranno azzurro, toccò proprio a lui raccoglierne l'eredità della Nazionale. E anche allora, Cesarone si lasciò guidare dalla vecchia lezione appresa ai tempi del Paron: nessuna rivoluzione, nessuna magia ma solo buon senso e coraggio applicati alla missione scegliendo anche dei campioni appena sbocciati (l'esordio di Gigi Buffon tra questi). A Londra, con Zola, firmò uno sgambetto mitico all'acerrima Inghilterra prima di volare in Francia al mondiale '98 dove sarebbe stato respinto solo da una traversa (centrata da Di Biagio) nella sfida proseguita oltre i supplementari con la Francia, alla fine campione del mondo. Cesarone non è stato solo un prestigioso esponente del calcio italiano. Stimato e rispettato all'estero, ne ebbe plastica dimostrazione quando gli affidarono la guida del Paraguay per il mondiale 2002 in Giappone e Corea. Fu proprio questa marcata competenza a riportarlo a casa sua, che è sempre stata il Milan. Gli affidarono la direzione degli osservatori da sguinzagliare in giro per il mondo a scovare nuovi talenti. E alla bisogna non si tirò indietro quando, esonerato Zaccheroni, gli chiesero (con la collaborazione di Mauro Tassotti), di guidare proprio il suo caro vecchio Milan verso il porto più sicuro. Si congedò con una medaglia sul petto diventata la partita più cara per il popolo dei tifosi: il 6 a 0 sull'Inter di Tardelli rifilato nella notte dell'11 maggio del 2001, armando il micidiale contropiede con Serginho e Shevchenko.
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