Demetrio Albertini è di Besana Brianza, zona ricca, giù la testa, imprenditorialità, casa e chiesa. Se il profilo di presidente federale tracciato dal capo dello sport italiano Giovanni Malagò calza, delle tre componenti Albertini veste la prima, nè pensionato, nè interessi personali dietro la sua candidatura, al minimo è ricco. E su questo è difficile possa smentirci, perlomeno lo è in confronto alla media degli italiani. Il fatto poi che non anteponga interessi personali alla sua candidatura Figc non può che fargli onore. E questi sono gli ultimi giorni per promuoversi all'assemblea. Il meccanismo elettivo non è complesso ma resta più interessante capire il progetto, all'interno di un argomento che sfiora soltanto la sfera del tifoso. Chi conosce il presidente federale della Germania campione del mondo?
Ieri comunque Demetrio Albertini ha organizzato al Westin Palace di Milano una breve presentazione: «Non un programma - ha detto -. Queste sono solo le mie idee, quello che penso».
Si rende conto in quale ginepraio si sta ficcando?
«Avevo già anticipato a maggio che dopo il Mondiale avrei lasciato la carica di vice presidente federale al termine di un mio percorso di crescita, dopo otto anni al servizio del nostro calcio a livello assolutamente volontaristico. Ho voluto chiarirlo prima, per evitare che l'esito del mondiale, qualunque fosse, non diventasse un pretesto. Poi però la gente mi ha fatto cambiare idea, e adesso sono qui».
Si spieghi.
«Nelle ultime settimane ho ricevuto tantissime telefonate e richieste da parte di tutte le componenti che rappresentano il calcio. E tutti mi chiedevano di candidarmi alla guida della federazione. Mi ha fatto piacere particolarmente incontrare la gente per strada, quella che va allo stadio, i tifosi non votanti. Non me lo aspettavo e questo ha rafforzato in me la speranza di poter promuovere un cambiamento reale».
Insomma, spinto dalla piazza?
«Nessuno si poteva aspettare un cambiamento così radicale degli scenari, si è dimesso il presidente Abete, il ct Prandelli. Ho sentito alcune strategie per far ripartire il nostro calcio ma ho trovato poco calcio in tutto questo».
Lei cosa farebbe?
«Intanto mi sono chiesto chi vogliamo essere. Il più bel campionato del mondo come negli anni '90, o un campionato di passaggio come l'attuale?».
Come tornare indietro?
«Spazio ai giovani, nuova governance e trasparenza. In campo ho sempre fatto il regista, adesso voglio provare a farlo in federazione. Barbara Berlusconi non mi ha chiamato e alcuni mi hanno detto che non mi daranno il voto perché sono un calciatore. Ma io sono qui ugualmente. Il primo punto è la governance, le leggi e i regolamenti che disciplinano la gestione del nostro calcio. Dobbiamo puntare a un modello snello, è paradossale che non si possano prendere decisioni senza l'unanimità. Lega Pro e Dilettanti hanno il 51 per cento in assemblea ma sono in minoranza nel Consiglio federale, quindi non sono decisionali. Oggi il presidente federale non ha la certezza di poter fare le riforme che ritiene necessarie. Ci vogliono sinergie fra le sette componenti del nostro calcio. In questi anni ho apprezzato il lavoro di tutte, ma non si trova un obiettivo comune».
Il modello tedesco?
«Siamo un'altra cultura. Mettiamo il calcio al centro del progetto e non parliamo di riduzione delle squadre, o degli extracomunitari, o di un numero minimo di italiani in campo. Queste sono soluzioni impraticabili. Piuttosto funziona l'iscrizione di almeno cinque tesserati cresciuti nel vivaio.
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