Può sembrare un paradosso. «É stata la migliore prestazione del Milan in questo campionato» dicono i primi commenti a caldo provenienti dalla cabina di regia milanista. E invece no. Non è solo un paradosso ma un giudizio che si può condividere. Mai visto produrre il Milan, con tanta autorevolezza, un bel numero di occasioni da gol. Specie nei primi 15 minuti. E poi risalire la china del primo gol friulano con piglio propositivo, grazie anche alla correzione a centrocampo (via Ambrosini, Montolivo ai comandi, Boateng a tentare il riscatto). «Non c'è bisogno di confermare Allegri perché non è mai stato in discussione» la dichiarazione più impegnativa proveniente dal portavoce della società messo in azione da Galliani.
Ed è proprio del vice-presidente esecutivo la frase guida di quest'altra domenica cupa e fosca vissuta dal Milan del dopo Thiago Silva e Ibrahimovic. «Non è assolutamente vero che in società ci siano due posizioni: e cioè il presidente che vuol mandare via l'allenatore e io che invece voglia tenerlo. Al Milan c'è una sola posizione, da sempre» la spiegazione didascalica. Che ha una sua spiegazione anche tecnica e psicologica. Quella tecnica è nel giudizio sulla prova di Udine, «la migliore delle prime quattro». Quella psicologica ha una chiave di lettura ancora più importante: «Si è visto che la squadra è tutta unita intorno ad Allegri». Il gioco è migliorato, non ci sono dunque fratture da cementare, né rivolte da tenere al guinzaglio. L'incidente diplomatico con Inzaghi trasferito agli archivi. E poiché anche Tassotti, che è un monumento alla lealtà, è schierato dalla parte di Allegri e non ha pronunciato una sola parola, compiuto un solo gesto, per prenderne il posto, ecco che la sconfitta di Udine ha persino rafforzato la panchina di Allegri invece di indebolirla irrimediabilmente.
È il secondo paradosso della sera, d'accordo. Ma nel calcio sono i paradossi spesso a dettare la linea politica delle società. Di sicuro Allegri si è presentato ai microfoni e ai taccuini con il volto sereno, per niente segnato dai nuvoloni che solitamente accompagnano le giornate dal destino segnato. «In questo momento non mi sento né vittima né colpevole dell'attuale situazione del Milan. Ho visto una squadra ridotta in 9 lottare con coraggio e sfiorare il pareggio: sono questi i comportamenti che danno forza e consentono il recupero dell'autostima» la sua analisi. Appena increspata dal commento livornese alla solidarietà riscossa presso tanti colleghi, pronti a difenderlo, quasi fosse stato accoltellato in una strada buia. «Io sono un personaggio che fa discutere quando vince, ho fatto 162 punti in due anni, figuriamoci quando i risultati non arrivano» la chiosa amarognola che non chiude la vicenda. Perché mercoledì sera, contro il suo Cagliari, Allegri non può più contare sui due paradossi di Udine e deve passare dalla filosofia alla prosa, dai progressi ai tre punti e a sfatare il tabù di San Siro. Che poi, tutto sommato, una mano nella domenica nera di Milano, deve avergliela data.
Forse persino la caduta interista, per mano del Siena, lo ha riposto in seconda fila dinanzi al plotone d'esecuzione della critica, televisiva e non. È il terzo e ultimo paradosso. Col quale si può passare al prossimo atto. Decisivo, quello sì. Per Allegri e per il Milan che non può arrivare primo o secondo, ma nemmeno in zona retrocessione.
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