Allegri a tutta grinta «Rassegnato chi? Noi ne verremo fuori»

MilanelloChissà, forse un giorno bisognerà riaprire il capitolo del duello rusticano tra Allegri e Inzaghi e rivisitarlo alla luce dei particolari successivi per assegnare alla vicenda un significato completamente diverso rispetto a quello attuale. Parentesi chiusa con un proposito che ha il sapore di un monito per tutti, Pippo compreso: «Chi lavora al Milan sa di dover avere sempre rispetto e lealtà». Di sicuro Massimiliano Allegri è uscito dalla visita al centro Vismara e dalla successiva pace recitata dinanzi alla tv con uno spirito nuovo. È apparso ieri, per la prima volta da quando il Milan si è "incartato", più battagliero e determinato, con le idee chiare. E in grado di interpretare il ruolo di capo-ciurma, decisivo in queste ore che volgono al viaggio verso il capolinea di Udine.
Il prologo alla sua conferenza-stampa, forse preparato, forse no, è stato didascalico: «Voglio fare due considerazioni: 1) non c'è mai stata rassegnazione da parte mia e della squadra; 2) non ho mai trattato con il club per le dimissioni anticipate, voleva dire mancare di rispetto a tifosi e società». Sgombrato il campo da fantasie improbabili, ecco il punto più importante del suo pistolotto: «Quando il 18 luglio sono partiti Ibra e Thiago ho accettato la sfida con entusiasmo e determinazione. Vedrete: io e la squadra ne verremo fuori». Ecco gli artigli di Allegri, ecco cancellata l'idea e anche l'immagine di un allenatore rassegnato all'impoverimento del gruppo e alla miseria dei risultati, in particolare quello 0 in condotta dell'attacco tra campionato e Champions.
Chissà. Forse deve averlo scosso l'incontro ravvicinato di terzo tipo con Inzaghi oppure il consiglio affettuoso di Giovanni Galeone, suo maestro ai tempi di Pescara e Udine, che lo ha trovato, in queste ultime settimane, poco reattivo dinanzi alle difficoltà e ai rischi di chiudere con un disonorevole esonero la carriera milanista. «Lui mi conosce, ha ragione, forse mi ha trovato ingessato. Il colpo d'ala? Vedremo. Che Boateng sia una mezz'ala e non un trequartista ne sono convinto, ha giocato in quel ruolo con Ibra perché avevo bisogno di un incursore» il suo commento che è il riconoscimento più importante firmato da Allegri il quale a fine conferenza, dopo non aver perso mai né la serenità e neanche la determinazione, ha ricevuto la telefonata di Silvio Berlusconi, il presidente. Non è complicato indovinare il tenore del colloquio e anche l'incoraggiamento partito da Arcore verso Milanello, a pochi minuti dal viaggio verso Udine che può essere il crocevia di una stagione dai contorni incerti e fin qui decisamente insoddisfacenti.
Anche per questo motivo, al fine di testimoniare in modo pubblico e simbolico, l'incondizionata fiducia nel gruppo, Allegri ha rimesso nel cassetto ogni proposito di cambiamento del sistema di gioco. Dalle sabbie mobili, il Milan può tirarsi fuori facendo ricorso alle risorse più classiche, agli schemi più noti e anche agli indispensabili miglioramenti guadagnati lungo il corso dei giorni. «Dobbiamo migliorare nel gioco ma soprattutto nel produrre gol» è il suo chiodo fisso trasferito non più come una condanna biblica alla squadra ma come monito per inseguire un riscatto, orgoglioso. «L'anno scorso avevamo attaccanti che andavano in giro per il campo, e non davano punti di riferimento, questa volta abbiamo Pazzini che si sistema in mezzo all'area e dobbiamo perciò modificare il nostro gioco»: questa la sintesi dei problemi tecnici incontrati da Allegri e dai suoi lungo le prime quattro settimane di stagione.


Pazzini, tra l'altro, arrivato e poche ore dal gong di calcio-mercato, non ha ancora completato l'apprendistato. Suoi i tre gol, gli unici, incassati a Bologna, lontano da San Siro: magari è solo un caso fortuito, probabilmente anche un segno del destino.

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