Lebron James mago di Miami, signore dell'ultimo anello nel basket plus, si ricorda soltanto alla fine come si vive male da sconfitti, dedica una parte di se stesso alla nazionale americana di basket, alla finale olimpica, sale da trionfatore, insieme al Mamba Bryant appena passabile, sul carro che Kevin Durant il sublime e Chris Paul il geniale, avevano trascinato per tre quarti di partita dove la Spagna campione d'Europa ha difeso bene, con le nostre regole, il prestigio del basket dove ancora si prova a giocare di squadra.
Doveva e poteva essere lezione tremenda come quando sotto il cielo olimpico arrivò nel 1992 il dream team vero che non potrà mai essere paragonato con questi Stati Uniti che si vestono d'oro, che hanno uomini d'oro, ma non si sporcano troppo in difesa e che ieri hanno conosciuto anche la paura.
Sergio Scariolo lascia la toga dell'avvocato dei canestri e diventa un esploratore del mare anche se i critici spagnoli non gli perdoneranno mai di aver lasciato cuocere i Gasol nella prima parte, mette il repellente sulla maglia della sua nazionale spagnola di baloncesto e la butta nell'acqua degli squali NBA, tenendo questi campioni super lodati, protetti, maghetti in recita olimpica, lontano dal canestro con una zona che soltanto Durant ha fatto vacillare.
Ci vogliono trentotto minuti per scoprire a chi dare l'oro che era già assegnato prima di cominciare questo torneo di basket che ha portato in tribuna la grande folla, personaggi importanti, attori, regine, calciatori, il commisioner Nba Stern sempre curioso di vedere come funziona il laboratorio mondiale di uno sport dove lui sa far guadagnare tutti. Un torneo che ci ha evitato di vedere squadre in ginocchio davanti a questi attori che si erano illusi di arrivare al loro titolo senza sentire almeno un brivido, torneo che, purtroppo, non ha premiato abbastanza l'Argentina dei grandi veterani Scola e Ginobili battuta nella finale per il bronzo dalla Russia del David Blatt che ha fatto vedere cose interessanti anche se alla fine aveva Kirilenko in pezzi.
La Spagna che aveva cercato una via molto criticata per schivare gli Stati Uniti in semifinale, facendosi "beffare" dal Brasile in qualificazione, è andata in campo libera dal servo encomio, leggera e orgogliosa, più i giocatori del tecnico italiano, che anche dopo un doppio titolo europeo ha dovuto sopportare di tutto per arrivare al cielo con una squadra che per tutti i suoi presuntuosi colleghi sembra facile da allenare: la fanteria leggera ha scatenato Navarro, un ombra per tutto il torneo, poi quando il pensatoio americano gli ha messo addosso un paio di piovre è venuta fuori la coppia catalana dei Gasol, più Pau del fratello Marc, che poteva esplorare, insieme ad Ibaka, un reduce dalla finale Nba persa con Oklahoma, il cuore dell'area americana presidiato con il piumino, guardato a vista da chi dopo tante partite non aveva ancora capito che nel sistema Fiba gli aiuti in area sono permessi.
Spagna in fuga per i primi minuti (12-7) sembrava il regalo dei proprietari del pallone ai ragazzi incontrati al villaggio olimpico, anche se molti spagnoli hanno frequentato e frequentano la Nba; la prima accelerata, il parziale di 18-4, sembrava l'annuncio atteso dal mondo: adesso vi facciamo divertire. Certo con un 35-27 dopo 10' sembrava tutto facile, ma il segnale nero arrivava a metà gara: 59-58 per gli Usa in similpelle. Navarro 19 punti, Durant 17. Adesso basta urlavano quelli che quando vedono i grandi d'America si sdraiano per farsi calpestare sul campo e sui giornali. Niente. La Spagna reggeva anche nel terzo tempo chiuso sotto di uno (83-82) facendo come Clay con Foreman: danzando e pungendo.
Ci voleva la saggezza di Paul, il solito Durant che alla fine ne farà 30, l'umiltà di Lowe, per convincere Bryant che non era più tempo per scherzare.
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