Angeli e demoni. Quando, dopo 4 ore di lotta, Matteo Berrettini si getta felice sull'erba, l'Italia del tennis celebra la sua giornata più incredibile a Wimbledon. Festeggia un tennista negli ottavi dopo 6 anni, quando aveva appena finito di chiedersi come sia mai possibile cacciarsi sempre nei guai. Matteo Berrettini non ha solo la faccia da bravo ragazzo: lo è. Fabio Fognini non è solo un piccolo diavolo: lo fa. Due modi di entrare la storia nello stesso giorno, ma i libri del tennis un giorno non la ricorderanno allo stesso modo.
E allora, Matteo. Si è spinto là dove nemmeno lui si aspettava di essere fino a qualche tempo fa, prima che gli scattassero le certezze che cercava da tempo. Ha dovuto sudare, lottare, salvare perfino tre match point contro un altro piccolo diavoletto, Diego Schwartzman, che è diavoletto è solo in senso tennistico. Non perde mai da solo, lo devi battere. Matteo ce l'ha fatta (6-7, 7-6, 4-6, 7-6, 6-3), perché la sua testa è cambiata. Ce l'ha fatta per quella testa ormai la usa come un orologio, spinto dalle occhiate del suo coach Santopadre, padre putativo di un campione che veleggia verso i primi dieci del mondo e soprattutto verso la sfida di domani contro Roger Federer. Un premio alla (giovane) carriera. Già così, salirà nel ranking al numero 18, ma ormai nulla è impossibile per un bravo ragazzo diventato l'angelo del nostro tennis: «C'è troppa differenza di trattamento tra i top player e noi - disse un volta quando ancora sognava un futuro da grande -: eppure se non ci fosse uno come me non ci sarebbe neppure Federer». Sognava, domani ce l'avrà di fronte.
Prima di lui invece ecco il diavolo. La bomba esplode già nel primo set, in mezzo alla movida di Wimbledon, campo numero 14, quello vicino al quale passano tutti: si gioca mentre al bar sovrastante schioccano i bicchieri. Insomma, non un campo dove giocherebbe di solito un Top 10, ma si sa che da queste parti tutto è possibile. Perfino far andare un giocatore al bagno pubblico, perché gli spogliatoi sono troppo lontani. E allora: visto quanto sopra Fabio Fognini è in quei giorni in cui mostra il lato oscuro, e alla fine sbrocca. «Maledetti inglesi, non si può giocare su questo campo. Dovrebbe scoppiare una bomba su questo circolo». La bomba, appunto, esplode.
Per carità: in giorni così Fabio è un po' capace di tutto e dunque perdere con uno che si chiama Tennys Sandgren di cognome in tre set. Ma le scuse seguenti un po' di malavoglia «quando uno è frustrato riesce a dire di tutto, mi spiace se qualcuno si è sentito offeso» alla fine del match hanno peggiorato la situazione. E non è un problema di essere moralisti (come sui social hanno fatto subito notare i sovranisti del bar sport), ma magari di leggere ogni tanto qualche libro di storia.
Anno 1940, 11 ottobre: l'All England Lawn Tennis Club, adattato a base d'appoggio per l'esercito britannico, viene preso di mira dall'aviazione tedesca. Il campo centrale viene colpito e 1200 posti a sedere sono distrutti. Wimbledon - nel senso del circolo viene colpito altre volte: gli stand, il royal box, la sala stampa, il club. Nulla viene risparmiato. E quando il tennis tornerà protagonista, il 2 settembre 1945, un grande torneo tra tutti i soldati militari precederà di un giorno la resa finale del Giappone. Niente più bombe, almeno fino a ieri. Le parole di Fognini hanno colpito duro e quando si è grandi e vaccinati bisognerebbe sapere che se si è «under probation» fino al 2020 (e Fabio lo è per aver dato, eufemismo, della poco di buono a una giudice agli UsOpen 2017), certe cose portano alla squalifica negli Slam.
Fognini comunque è grande e saprà gestire le conseguenze: il diavolo in lui tornerà a lasciarlo stare. E la classifica lo poterà comunque al numero 9 del mondo. Mentre Matteo, l'angelo del nostro tennis, si prepara alla sua giornata in paradiso.
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