Se il calcio italiano si liberasse delle etichette banali sarebbe già un bel successo oltre che un passo avanti decisivo lungo la strada dell'ammodernamento del sistema. L'etichetta appiccicata sulla schiena di Rino Gattuso, resistita fino a ieri sera, è quella di passare per un convinto allenatore difensivista. Vi ricordate il primo bigliettino da visita vergato sul suo conto? Eccolo: tutto grinta e agonismo. A rammentare certi giudizi circolati a Milanello nei mesi della sua panchina adesso rimpianta, circolò la seguente stroncatura: La squadra gioca male. A dire il vero qualche indizio lo aveva regalato proprio Rino all'alba della sua carriera da allenatore. Qualche cronista interessato ricorda e rievoca spesso il comportamento del suo Pisa, nella finale di ritorno dei play off di Lega pro giocata a Foggia, in un clima da ok corral. In quella circostanza, Gattuso schierò il pullman davanti alla porta e portò a casa il risultato utile a centrare la promozione in serie B. Il lavoro certosino realizzato al Napoli documenta una smentita solenne dell'etichetta perché nel frattempo il giovane tecnico, che è uno studioso di schemi, caratteristiche di calciatori e di tecniche di allenamento, ha affinato conoscenze ed è diventato un raffinato stratega, aiutato da uno staff di prima categoria. Non era facile succedere a Carlo Ancelotti, rimettere mano alla preparazione fisica, perfezionare la tenuta stagna della difesa, raggiungere una tregua nello spogliatoio in rotta con la società per la nota storia delle multe. Lui è riuscito dopo una partenza tormentata, al pari di quella conosciuta nel Milan all'epoca della sostituzione di Montella. È vero: contro l'Inter ha lasciato a Conte il comando del gioco e l'ingrato compito di ribaltare il risultato dell'andata. Di quello aveva bisogno. Contro la Juve ha limato gli artigli di CR7 e Dybala e li ha infilati alle spalle ripetutamente meritando prima dei rigori la coppa alzata al cielo di Roma.
Di quello aveva bisogno. Pochi minuti dopo il successo, dinanzi al capannello napoletano riunito sul prato dell'Olimpico, ha parlato di passione e appartenenza che sono poi le virtù coltivate ai tempi del primo Milan berlusconiano.
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