Non saprà mai se il Giro d'Italia numero 100 l'avrebbe vinto, ma di una cosa è certo: avrebbe voluto assolutamente correrlo, anche con una gamba sola. «Anche con un ginocchio malandato dice Fabio Aru il giorno dopo la grande rinuncia -. È chiaro che io avrei spostato di dieci giorni la decisione di non correre la corsa rosa, perché i corridori, tutti, nessuno escluso, hanno la testa fatta in un certo modo. Noi non ci arrendiamo tanto facilmente, speriamo sempre, abbiamo quella fiammella di positività che ci anima in ogni caso, anche quando tutto ti dice che è inutile insistere».
Fabio Aru il giorno dopo appare più sereno. Alla fine è come essersi liberato da un peso: tolto il dente, tolto il peso, perché il dolore al ginocchio quello resta. Va trattato con ultrasuoni e magnetoterapia. Riposo per dieci giorni e applicazioni, come disposto dal professor Franco Combi l'altra sera, poi il 20 aprile nuovo consulto, per decidere il da farsi.
In realtà chi ha deciso di chiudere la pratica Giro subito è stato il team-manager Alexander Vinokourov, il grande capo del team Astana, per il quale Fabio Aru corre da cinque anni. Dopo essersi consultato con lo staff tecnico e medico, l'oro olimpico di Londra ha deciso: «Niente Giro. Non ci sono i tempi tecnici per poter recuperare e correre da protagonisti la corsa rosa», questo il pensiero del team manager kazako.
Beppe Martinelli, l'uomo più vincente d'Italia, con al suo attivo vittorie al Giro, al Tour e alla Vuelta, con Marco Pantani, Stefano Garzelli, Damiano Cunego, Gilberto Simoni, Nibali e Aru, fa buon viso a cattiva sorte. «È chiaro che Vinokourov ha ragione ammette l'esperto tecnico bresciano -. Fabio è fermo da domenica scorsa e deve stare fermo ancora dieci giorni. Troppi per poter pensare di arrivare al Giro, che scatta dalla Sardegna il prossimo 5 maggio, con una condizione ottimale (senza Aru, i protagonisti al via saranno Nibali, Quintana, Pinot, Mollema, Tom Dumoulin e Kruijswijk, oltre a Van Garderen, Landa, Zakarin, Geraint Thomas e i gemelli Adan e Simon Yates, ndr). Purtroppo certi incidenti sono difficili da superare, anche se io avrei fatto fatica a gettare la spugna. L'ha fatto Vinokourov? Meglio così».
Fabio non corre dall'11 marzo, tappa del Terminillo alla Tirreno-Adriatico, quando una tracheo-bronchite l'ha costretto al ritiro. Poi la preparazione in altura, in chiave Giro, in Spagna a Sierra Nevada. Il rientro alle competizioni era stato fissato: al Tour of the Alps (l'ex Giro del Trentino) dal 17 al 23. Domenica 2 aprile l'incidente. «Sono caduto ad oltre 40 all'ora nella discesa dall'Alto de Monachil racconta il corridore, che in carriera ha vinto una Vuelta (2015) e ha ottenuto due podi al Giro (terzo e secondo) -. Quando Maurizio Mazzoleni, il mio allenatore, mi ha visto per terra, ha pensato che mi fossi rotto il bacino».
Sotto accusa i copertoncini, meno confortevoli e più pericolosi rispetto ai palmer. Il team esclude cedimenti strutturali del mezzo. Beppe Martinelli però non accampa scuse: «Ora si può dire tutto e il contrario di tutto, ma oggi ci sono anche tantissimi corridori che usano i copertoncini anche in corsa. Io sono fatalista, certe cose se devono succedere, succedono. Come mi sento? Come un uomo vinto: mi è crollato il mondo addosso. È una situazione che mi ricorda quella di Pantani prima del Giro 1995, quando cadde il primo maggio e non poté prendere il via alla corsa rosa. Quell'anno poi però andammo al Tour e arrivò terzo.
Se sogno di fare con Fabio la stessa cosa? Io con la testa sono già là, anche se so che prima ci deve essere il via libera, il prossimo 20 aprile, da parte del professor Combi: quel giorno Fabio si giocherà anche una buona fetta del Tour».
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