
Il vento freddo che cambia continuamente direzione sullo stadio olimpico di Barcellona ha le movenze di Lamine Yamal. Va, torna, sterza, accelera, fa venire mal di testa. E dire che il ciclone sembrava arrivare da più lontano, per raffreddare il caldo sole pomeridiano sulle panchine prendisole a Barceloneta: Thuram e Dumfries con due giocate avevano congelato l'ottimismo dei tifosi blaugrana, sugli spalti con la sagoma di una sesta Champions, quella non ancora messa in bacheca.
Ma il vento cambia in fretta, soprattutto se hai Yamal. Lui che pure il riscaldamento l'aveva finito con le mani all'inguine per un dolore e che ha invece dettato i tempi della remuntada del primo tempo. Pure Thuram ha stretto i denti, ma ha poi finito per amministrarsi. Diversi, così come gli stati d'animo che si alternano alla Ciutat esportiva, che fa conoscenza con due tipologie di tifoso italiano. Quello in completo nerazzurro, scortato dalla polizia fin da Plaza de Espana. E quello in incognito, che al lungo ponte del XXV Aprile ci ha aggiunto le esperienze del blackout e della semifinale di Champions. Si mimetizza, neutro, tra le maglie di Lewandowski e Yamal che scalano il Montjuic come solo Jackie Stewart riusciva a fare, quando da queste parti ci correva la F1.
Erano arrivati allo stadio insieme, spagnoli e italiani, tra braccialetti gialli per l'indipendenza catalana e giocolieri, youtuber e cingalesi che tirano fuori fresche bottigliette d'agua sin gas da sacchetti abbandonati al sole. Altre bottiglie di vetro sono scagliate sul bus dell'Inter mentre arriva attorno alle 19 allo stadio.
«Viva la Bassa» urla un gruppo di
emiliani al Giardino botanico, «Puta Real Madrid», la risposta catalana. Perché i rivali sono in fondo sempre gli stessi, non quelli di una sera. Anche se è una semifinale di Champions, che cambia idea a ogni alito di vento.
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