Torino - Daniele Padelli ha gli occhi di ghiaccio, difende la porta del Toro e lo scorso anno, quando parava per l'Udinese, dalla Juventus ha beccato otto gol in due partite: «Acqua passata - dice -. Il derby sarà un'altra storia».
Lei è arrivato a Torino da pochi mesi e i tifosi le avranno spiegato che non ne possono più di non vincere una stracittadina da 18 anni: siete pronti?
«Ventura, il nostro allenatore, ha detto che uno dei due lo portiamo a casa. Speriamo abbia ragione e di cominciare subito, visto che giochiamo anche in casa nostra».
Preoccupato?
«No, anche se sappiamo di affrontare una grandissima squadra. Noi però stiamo bene e ultimamente abbiamo vinto a Bologna, dove il Toro non si imponeva dal 1980: magari è la volta buona per sfatare anche il tabù derby».
Se lo faceste, che succederebbe?
«Finiremmo tutti insieme dritti al museo: non vediamo l'ora».
Cosa ricorda delle due partite contro la Juve del campionato scorso?
«A Udine subentrai a Brkic, espulso, e presi subito gol su rigore. Onestamente non feci poi benissimo, ma fu il match di ritorno a impressionarmi: Pogba mi segnò due reti con due siluri da fuori area, il primo addirittura senza senso. Non c'era da fare altro che inchinarsi e applaudirlo».
A questo giro avrà contro anche Tevez, altro bombarolo da ogni dove: come lo si affronta?
«Studiandolo, ma sostanzialmente rimanendo sempre concentrato. Lui è un grandissimo giocatore, sa sempre cosa fare e dove andare: con la carriera che ha avuto finora, non lo scopro certo io».
Lei è diventato titolare anche grazie alla squalifica di Gillet e nonostante la società abbia cercato un primo portiere fino a fine mercato: si sente degno del Toro?
«Mi alleno duramente per esserlo e lo scetticismo di alcuni non mi spaventa. Ho lavorato con Ventura a Pisa e Bari: se ha dato il suo ok affinché io fossi titolare, qualcosa vorrà dire. Di sicuro sono alla svolta della mia carriera: titolare in serie A e per di più in una società gloriosa».
Nella sua carriera di secondo, ha anche vestito la maglia del Liverpool: rimpianti?
«No, perché quello era stato un salto davvero troppo grande. Ho imparato tanto, mi sono allenato con Gerrard e Reina (oggi al Napoli, ndr) e mi aveva voluto Benitez: è andata comunque bene così e, pur se dalla tribuna, ho vissuto l'emozione di una finale di Champions, purtroppo persa. Ho giocato anche un match ad Anfield Road: impossibile volere di più».
Perché i tifosi del Toro guardano spesso al passato?
«Hanno una storia unica in Italia e forse nel mondo: i paragoni sono normali e anche benvenuti, se servono da stimolo per fare sempre meglio».
Che squadra è il Toro di oggi?
«Un gruppo che gioca bene e che ha visto aumentare la propria autostima dopo aver messo sotto il Milan, pur pareggiando nel finale in quel modo assurdo: avere vinto la settimana dopo a Bologna è stato un gran bel segnale».
Cerci pare diventato un fenomeno: lo è davvero?
«Decisamente sì. Siamo stati compagni a Pisa ed era già bravo allora. Adesso fa anche gol con continuità e ha un sinistro impressionante: può fare la differenza in ogni momento, ma noi continuiamo a ragionare da squadra».
Sarà lui l'uomo derby?
«Perché no? Qui però nessuno pensa a se stesso, ma solo a interrompere quella striscia che dura da diciotto anni: troppi».
E' una promessa?
«Con il
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