Bergamo, la Dea e le bare dimenticate

Ancora una follia dei tifosi nella città simbolo del dramma Covid

Bergamo, la Dea e le bare dimenticate

Tutto il mondo è calcio. Anzi caos. Il tifo è più contagioso del virus. Dopo la folla raggrumata fuori da San Siro, ecco il popolo atalantino di Bergamo a sfidare il male. Si celebra un anno di morti e di strazio, ieri 207 casi, addirittura 901 a Brescia ma il pallone è il finto vaccino che provoca la sbornia collettiva, ragazzi a viso scoperto, canti, balli, inni. La città ha gli occhi chiusi dei teatri, cinematografi, ristoranti e bar ma c'è la zona franca dello stadio, qui va in scena il rave party incosciente, irresponsabile, ignorante. Luci e vapori forti di falò e torce accese all'arrivo del bus che trasporta la Dea, gli eroi della finta liberazione dal Covid, una sera per ubriacarsi e scappare dagli arresti domiciliari del confinamento, mille più di mille urlano, incitano, si aggrappano, stendono striscioni, lo slogan è alcoolico Cafeteros+Grappa Ubriachiamoli, bandiere esposte ai balconi, l'appello dell'Atalanta e dell'Ats di evitare assembramenti è carta straccia, finisce sul selciato come coriandoli bagnati di un carnevale smaltito, le forze dell'ordine sono costrette ad assistere, nessun elicottero della polizia, nessuna carica a cavallo, nessun idrante dai gipponi, la festa è dissennata perché non ha ragione, Bergamo come Milano, come Napoli, come Bucarest, come Parigi, come Roma. Arrivano notizie terribili dall'Institute for health metric and evaluation voluto da Bill Gates, lo scenario preannuncia ventottomila morti nel nostro Paese tra marzo e giugno, se non verranno accelerati i tempi di somministrazione dei vaccini.

La nuvola nerissima viaggia sullo stadio di Bergamo ma è un aquilone, la folla soffia, urla, cerca di cacciarla via, il gol, la vittoria sono farmaci naturali per chi sta sull'orlo del precipizio ma sceglie di sfidare il buio invece di fare un passo indietro. Si ondeggia lungo il viale Giulio Cesare, senza pensare a quell'altra onda, oscura e malvagia, la terza, che verrà. Allora, un anno dopo, il pallone e il Real Madrid diventano la droga che cancella i camion militari che portavano le bare in quella notte di paura e, insieme, i numeri tragici di corpi dimenticati, nemmeno salutati.

Così, con il ciglio umido, continuiamo a celebrare le nostre colpe però scappando altrove, abbassando le mascherine, camuffandoci con protezioni e coscienze provvisorie, il virus non è più terrore ma provoca fastidio. Dal silenzio dello stadio, si è udito il fischio d'inizio. La partita è cominciata. Poi, come sempre, è finita. Quell'altra, senza falò e canti, continua.

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