É buona regola giornalistica diffidare dei cori. Da 24 ore, sul conto del Milan in vendita, si è levato un coro di no, non è vero, non è possibile, che verrebbe voglia di piantare la discussione e passare al ping pong di Balotelli (smentito dallo stesso Mario che ha twittato la foto della sua seduta di fisioterapia). E invece è il caso di approfondire la materia riconoscendo la sincerità e la solennità di alcune dichiarazioni. Prendiamo il primo della lista, interpellato al volo già qualche minuto dopo la pubblicazione dell'agenzia, mercoledì sera, e cioè Adriano Galliani: «La vendita del Milan? Io sono casomai l'oggetto della cessione, non il soggetto che vende, Fininvest ha già smentito e non so perchè escono certe notizie». Passiamo al secondo, Giovanni Toti, consigliere politico di Silvio Berlusconi, e perciò l'uomo più vicino al presidente del club rossonero, intervistato dal programma di Radio2 Un giorno da pecora. «Non credo che Berlusconi abbia alcuna intenzione di vendere il Milan, io non gliene ho mai sentito parlare, non mi risulta proprio» la sua espressione. Anche Barbara Berlusconi, primogenita del secondo ramo familiare di recente promossa al rango di amministratore delegato con la responsabilità diretta di tutte le attività extra-sportive legate al club, ha avuto la stessa reazione stupita di Galliani e Toti. Al suo più stretto collaboratore ha confessato di non aver mai ascoltato discorsi di questo tipo nè dal padre, nè durante i rituali pranzi del lunedì ad Arcore, dagli altri componenti della famiglia.
La più autorevole e convincente delle assicurazioni è quella che a metà sera è arrivata da Roma dove Silvio Berlusconi è arrivato a palazzo Giustiniani per la presentazione di un libro. Non è stata una frase di circostanza ma una raffica di no, ripetuta quattro volte. «Ha intenzione di vendere il Milan?» gli hanno chiesto. E il Cavaliere: «No, no, no, no». I cronisti lo hanno incalzato sull'argomento e gli hanno chiesto: «É possibile rassicurare i tifosi?». Anche qui la risposta è dello stesso tenore: «Sì, sì, sì». Tre volte sì.
Allora: è tutto inventato? Non necessariamente. Affidiamoci quindi agli scenari verosimili. Prima chiave di lettura: è possibile che sia interesse dello stesso azionista, non di Silvio Berlusconi, ma uno dei tanti manager che ruotano nell'orbita Fininvest, dare un generico mandato a una banca d'affari per ottenere una valutazione del marchio, del valore dell'azienda insomma, che in questo caso è stata stabilita intorno ai 945 milioni di dollari pari a 690 milioni di euro. Da molti anni queste voci di cessioni vengono riproposte ciclicamente ma della volontà effettiva, da parte di Silvio Berlusconi, di cedere quello che lui definì 28 anni prima «un affare di cuore», non c'è traccia alcuna. In più occasioni anzi lo stesso presidente rossonero, parlando al canale dei tifosi milanisti, non ha fatto mistero della disponibilità ad accogliere il contributo di un socio di minoranza, col quale gestire il progetto impegnativo del nuovo stadio per esempio, uno dei dossier in evidenza sul tavolo di Barbara Berlusconi.
A testimonianza della regia finanziaria del club, Fininvest ha di recente spedito un paio di raccomandazioni per tenere in sicurezza i conti del bilancio: 1) tagliare le spese in vista della mancata partecipazione alla Champions (e i contratti firmati da Galliani con i calciatori prevedono, in automatico, col mancato piazzamento nei primi 3 posti, tagli tra il 20 e il 30% degli stipendi) ; 2) riguadagnare subito la partecipazione alla coppa prestigiosa nel 2015 per fare sinergia con i diritti televisivi acquistati dalle reti Mediaset.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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