Roberto Boninsegna compie oggi anni settanta. Vi racconto subito un aneddoto per farvi intendere di che cilindrata fosse uno dei più grandi centravanti italiani della storia calcistica. Dunque, dopo un risotto nella cascina di Barengo, dimora di Boniperti, Fraizzoli si convince a cedere l'attaccante alla Juventus, aggiungendo milioni e ricevendo in cambio Pietro Anastasi. Boninsegna all'Inter stava pensando alla pensione ma era abituato a essere l'inquilino esclusivo dell'area di rigore, ne aveva tutti i diritti, avendo realizzato gol 113, numero da pronto intervento della polizia per molti difensori che tentavano di pararsi di fronte. Abituato, dicevo, ad avere qualunque pallone passasse per quel codominio finale, eventualmente anche un calcio di rigore da altri tirato doveva prevedere un passaggio sui suoi piedi, arrivato alla Juventus si ritrovò a fare i conti con la puzzetta sotto il naso dei bianconeri.
Amichevole estiva a Busto Arsizio, Juventus contro Pro Patria. Insieme con Franco Costa abbiamo la fortuna di seguire la partita a bordo campo, Gaetano Scirea scende sulla fascia destra controllando con eleganza e passo leggero il pallone, Boninsegna, dalla parte opposta, agita le braccia e prende a strillare. «Gai, Gai, eccomi». Niente, Gai Scirea prosegue la sua corsa mentre gli strilli mantovani aumentano, il battitore libero juventino conclude la sua azione calciando verso le nuvole. Boninsegna raspa la terra, incomincia a rincorrere il compagno, lo raggiunge, gli si affianca, gli prende un lembo della maglietta bianconera, lo avvicina alla propria, come per fare la prova finestra del bucato, guarda fisso negli occhi il collega e urla: «Sono uguali, lo vedi? Lo vedi che hanno gli stessi colori? E allora dammela, dammela!». Scirea, attonito, accennò una smorfia,
Ecco, Roberto Boninsegna era questo, sempre, dovunque, comunque, a Busto Arsizio, all'Azteca, a San Siro, feroce, genuino. Auguri pieni a uno che non ha mai finto, non ha mai fatto il piangina, giacendo sul prato come i contemporanei odierni che al primo soffio si piegano come fiori appassiti. Brera lo ribatezzò Bagonghi perché era tozzo, basso come il nano del circo, ma scattante e capace di capriole e colpi di football incredibili. Cito a memoria un gol in "chilena", in rovesciata contro il Foggia, roba da Cirque du Soleil. Grazie a Ivanhoe Fraizzoli il Robertino evitò di finire in fabbrica alla Burgo cartiere dove suo padre gli aveva preparato, andando in pensione, il posto di lavoro. I fumi della fabbrica bruciarono i polmoni di suo padre e l'Inter salvò Bobo. Il football era cosa di sangue, la sua faccia da pugile, con il naso schiacciato da un jab, la potenza e prepotenza sul campo di gioco, erano il profumo di una carriera tosta. Così fu, proprio come un circense, girando il mondo, da Prato a Potenza a Varese, a Cagliari, addirittura a Chicago laddove quelli del Cagliari, da Pianta a Reginato, da Vescovi a Tiddia, con Niccolai, Longoni, Nenè, Visentin, Gerry Hitchens e Rizzo, si trasferirono per giocare nel '67 un campionato organizzato dalla United Soccer Association. Ovviamente Boninsegna si fece riconoscere segnando 11 gol, capocannoniere nella terra di Al Capone e John Dillinger.
In verità si fece riconoscere anche in Italia dove, dopo un tumultuoso Varese-Cagliari si beccò undici giornate di squalifica, per un rosario di parole dirette ad arbitro e assistenti. Il totale della carriera segnala 3 scudetti, 1 con l'Inter e 2 con la Juventus, 1 coppa Italia, 1 coppa Uefa e quel titolo di vicecampione del mondo in Mexico '70.
Ho visto pochissimi centravanti battersi come Boninsegna, le sue sfide con Rosato o Benetti, nei derby milanesi, o il muso a muso con il portiere del Manchester City Joe Corrigan, un metro e settantadue nostrani contro un metro e novantatrè dell'inglese, fanno parte di un album che tutti possono sfogliare e pochi possono capire.
La torta è pronta, meglio non contare le candeline. Comunque sono sempre meno dei gol.
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